Vie nuove 5.9Donne alpiniste 1.

Vie nuove 5.9Donne alpiniste 1.
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Faut-il mener les femmes en montagne? Ce qui fait du bien au corps de l’homme fait aussi du bien au corps de la femme. Je me suis demandé plusieurs fois: qu’est-ce que la femme peut bien ressentir en montagne?… Quelle est donc sa mentalité en montagne?…. Voilà donc ce que les femmes vont chercher en montagne: les fleurs. Eh bien laissons les fleurs au milieu des fleurs, et ne les portons pas plus haut. Les fleurs en général vont à 3000 mètres…. Eh bien qu’on ne porte pas les demoiselles plus haut. Au dessus de cette altitude, l’air trop fort ne convient plus à ces fleurs. Gardons à nous autres, hommes, les 4000, 4500, 4800 mètres, les glaciers suspendus, les parois vertigineuses, les bivouacs nocturnes…. À nous donc les glaces, et laissons les fleurs au milieu des fleurs».

All’inizio del Novecento, l’abbé Henry, che pure si era molto impegnato per la diffusione popolare dell’alpinismo, non intendeva portare le donne in montagna. Perlomeno sull’alta montagna. Condividendo l’opinione della maggior parte dei suoi contemporanei, riteneva l’alpinismo una cosa da uomini. Le donne dovevano fermarsi al limitar dei fiori.

Eppure qualche esempio l’aveva sicuramente avuto sotto gli occhi. Non avrà forse conosciuto la «prima alpinista » (anche perché il suo diario verrà pubblicato solo nel 1987), la contessa francese Henriette d’Angeville, seconda donna ad arrivare, il 4 settembre 1838, in vetta al Monte Bianco (la prima, la povera Marie Paradis, cameriera di Chamonix, vi venne trascinata a forza). Probabilmente non aveva sentito parlare neppure di Alessandra Boarelli, la prima donna sul Monviso, nel 1864, la cui storia è stata pienamente ricostruita solo di recente in un bel libro di Linda Cottino.

Non poteva però certo ignorare la «seconda battaglia del Cervino», la gara, nel 1871 (solo sei anni dopo le imprese di Whymper e di Carrel), fra Lucy Walker e Meta Brevoort, per la prima femminile al Cervino. E nella lunga vita dell’abbé Henry di donne alpiniste ce n’erano state molte e anche assai famose, da Annie Peck che scandalizzò il mondo scalando vestita da uomo e che riteneva «unico vero piacere la soddisfazione di andare dove nessun uomo era stato prima e dove pochi potranno seguirti», a Hettie Dyrenfurth, una delle prime donne a partecipare ad esplorazioni Himalayane, passando attraverso personaggi di vasta fama, come l’esploratrice tibetana Alexandra David-Neel o la regista del Terzo Reich, Leni Riefenstahl. Solo restando all’ Italia non poteva non conoscere alpiniste fortissime come Mary Varale o Ninì Pietrasanta, e meno che mai figure di Casa Reale (a cui il parroco di Valpelline fu personalmente vicino), che diedero anche un contributo non indifferente alla legittimazione dell’alpinismo femminile: la Regina Margherita e la Principessa Maria José.

Bisogna però ricordare che nel 1905, quando l’abbé Henry scriveva queste righe (poi mai corrette), le donne che andavano in montagna era ancora voci negate. I testi scritti da donne alpiniste sono pochissimi. Molte di loro non scrivevano, o usavano pseudonimi, o scrivevano solo diari intimi. La montagna ottocentesca era un territorio rigorosamente maschile, come l’esercito o la maggior parte degli sport. Le scalate femminili c’ erano, ma erano spesso oggetto di ironia. Nella pubblicistica corrente se una montagna era scalata da donne voleva dire che non era poi così difficile. Lo si era detto a proposito di Henriette d’Angeville («Il nostro orgoglioso Monte Bianco deve sentirsi umiliato come non mai. Martedì 4 settembre, all'una e venticinque minuti, ha visto la sua cima calpestata da un piede femminile»), di Alessandra Boarelli («ora è provato che perfin le donne raggiunsero quella punta culminante che fino all’anno scorso si credette inaccessibile, chi sarà quel touriste che si perderà di coraggio all’atto della prova?»). Persino il grande Mummery ci aveva costruito una massima che sarebbe passata alla storia: «Tutte le montagne sembrano destinate a passare attraverso i tre stadi: un picco inaccessibile, la scalata più difficile delle Alpi, una giornata di relax per una signora».

Evidentemente quella dell’abbé Henry era un’idea largamente diffusa, anche in un mondo, come quello cattolico, che aveva democratizzato l’andar per monti e aveva preso le distanze dalle derive superomistiche e guerriere dell’alpinismo di primo Novecento, dove la «conquista delle vette» era considerata un surrogato della guerra. Prova ne era in tutta Europa la difficoltà delle donne nell’essere ammessi ai Club alpini: escluse in Svizzera e in Inghilterra ( dove nascerà, nel 1907, uno specifico Lady’s alpine club); ammesse, ma in numero davvero esiguo e mai in ruoli dirigenti, in Italia, Francia e Germania.

Negli ultimi cinquant’anni le cose sono radicalmente cambiate.

Lo sviluppo dell’arrampicata sportiva ha modificato i rapporti uomo-donna in montagna. Le imprese di Catherine Destivelle e di Lynn Hill hanno dimostrato come le donne possono arrampicare come e meglio degli uomini. Credo si possa dire che oggi, nel settore dell’arrampicata, la parità di genere è stata raggiunta (tanto che non si usa più la dizione “prima femminile”) e anzi si marcia verso il sorpasso, come in certe discipline sportive, dalla ginnastica al pattinaggio, dove l’elasticità e la leggerezza contano più della forza muscolare. Ma le donne stanno recuperando velocemente terreno anche nell’ultimo presidio della cultura maschile: l’alpinismo d’alta quota. Le imprese himalayane di Wanda Rutkiewicz, Junko Tabei, Nives Meroi, l’appassionante (e incattivita) corsa ai “14 Ottomila”della spagnola Edurne Pasaban, l’austriaca Gerlinge Kaltenbrunner e la coreana Oh Eun Sun, dimostrano che la parità di genere è possibile, se non già raggiunta.

Dove il gender gap è ancora altissimo è nel settore del professionismo. Solo sedici guide alpine donne in Italia su milleduecento (sette in Valle d’Aosta, su 252). Un divario che non corrisponde più a quello dei frequentatori della montagna.

Per capirne di più ne parleremo con degli esperti. A incominciare dalla maggiore studiosa italiana dell’alpinismo femminile …

Il diario della prima alpinista, Henriette d'Angeville

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