Università della Valle d’Aosta, pochi iscritti? Numeri di un Ateneo che non è mai decollato

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Le recenti polemiche che hanno infiammato il Consiglio dell’Università della Valle d’Aosta, confermando per l’ennesima volta una litigiosità, che ormai da anni attanaglia l’ateneo valdostano, fanno perdere di vista questioni ben più importanti, a cominciare dal calo degli iscritti, passati dai 1.244 dell’anno accademico di maggiore affluenza - il 2010/11 - ai 927 di quello attuale, meno 25 per cento. Un dato che si può giustificare in mille modi, ma non è questo il problema, perché che siano 1.244 o 927 il numero degli studenti rimane largamente insufficiente.

L’obiettivo dichiarato sin dalla creazione dell’Università della Valle d’Aosta, con l’entrata in funzione dei primi corsi nel 2000, era quello di arrivare ad almeno 2.000 iscritti. Su questo dato - sicuramente un obiettivo non molto ambizioso - sono stati parametrati i progetti per il nuovo campus, attualmente incompiuto della Caserma Testa Fochi, che addirittura in questi giorni viene criticato dal corpo docente per non essere adeguato alle esigenze attuali. Quindi, dopo i primi anni di rodaggio, il dato evidente è quello di un’Università che non è mai decollata, se vent’anni dopo siamo ancora qui a discutere di un numero insufficienti di studenti.

Non dobbiamo infatti dimenticare che l’Università della Valle d’Aosta è nata soprattutto come un’opportunità per attrarre iscritti da fuori regione, in modo da costituire un volano alternativo per l’economia cittadina e valdostana in generale. Aosta sarebbe dovuta passare da città degli alpini, a causa dell’abolizione della leva obbligatoria, a città degli universitari e questo lo sa bene l’attuale assessore regionale competente Luciano Caveri che figurò tra i promotori del progetto. «Certo, quando presentai - ricorda Luciano Caveri - da deputato l’emendamento per la nascita della nostra Università alla metà degli anni Novanta, era chiaro che la scelta fosse di avere un’Università regionale: lo Stato mai avrebbe finanziato il nostro ateneo. Il mio pensiero condiviso era di passare dalla città degli alpini a quella degli studenti universitari, adoperando appunto il complesso militare della Testa Fochi.»

Un obiettivo fallito, basta leggere i numeri e guardarsi intorno. Malgrado la propensione dei giovani italiani a frequentare sempre di più gli studi universitari rispetto a 20 anni fa, i nostri numeri calano e le nostre spese aumentano: 6 milioni solo per il funzionamento dell’ateneo, decine di milioni invece per gli investimenti, a cominciare appunto dalla demolizione - che scempio inutile alla luce della situazione attuale - delle caserme su via Monte Solarolo e Monte Vodice per lasciare il posto a tristi parcheggi asfaltati e all’opera (incompiuta) del “transatlantico” del grande architetto Mario Cucinella.

D’altronde in Valle d’Aosta è molto più facile mettere in funzione le ruspe che non pensare a soluzioni di prospettiva che consentano alla nostra Università di diventare veramente quello per cui è stata creata e non di vivacchiare con neanche mille studenti, molti dei quali valdostani. «Credo - rilancia Luciano Caveri - che dedicheremo una sessione apposita del Consiglio dell’Università per capire, specie dai rappresentanti del corpo docente, la spiegazione della riduzione che si sta manifestando. E’ necessario affrontare con decisione la questione, con la prospettiva di apertura della nuova sede della Testa Fochi e con i prossimi investimenti sul campus, che sarebbe illogica se non si riuscisse ad essere attrattivi. Per fare questo, aumentando il numero degli studenti rispetto ai numeri attuali, bisogna riflettere sull’offerta didattica.»

Il problema è proprio questo. In tutta Italia atenei grandi e piccoli rilanciano la propria offerta per richiamare studenti da ogni dove, meglio se da lontano, con la necessità di affittare alloggi, di frequentare i centri cittadini, di invitare i parenti, quindi di aumentare i consumi, spendendo le loro risorse a favore dell’economia locale. E’ un ragionamento semplice ed efficace, che in Italia viene con maggiore insistenza sposato dalle piccole università, come è spiegato nella tabella in alto, sotto il titolo. Università che operano in ambiti di popolazione simili ad Aosta e che con i loro dati evidenziano delle differenze tali da rendere non urgente, ma urgentissimo, un cambio di rotta. E’ vero, vi sono sedi storiche come Urbino e Camerino dove il numero di iscritti all’Università è addirittura superiore a quello dei residenti o come Macerata, città che attrae oltre 10mila studenti, tuttavia alcune sono Università recenti, tipo l’incredibile successo di Chieti, quelli di Cassino e Campobasso, oppure l’università privata di Enna che pur circondata dagli atenei di Palermo, Messina e Catania accoglie più di 5mila studenti, un quinto della popolazione residente. Se i numeri sono significativi ancora di più lo sono le percentuali, che spiegano l’incidenza del numero degli iscritti rispetto agli abitanti, con la conseguenza di meglio comprendere quanto gli studenti universitari possono garantire dei benefici alla città sede dell’ateneo e al territorio circostante,

Probabilmente in Valle d’Aosta, tra mille beghe, polemiche senza senso e giochi di potere, è stata persa completamente di vista la vera finalità dell’Università da un punto di vista sociale ed economico e neppure ne è stata valorizzata la funzione culturale, considerato che da anni la storia della Valle d’Aosta non viene più insegnata e che praticamente mai la Regione fa riferimento all’Università per compiere degli studi e delle analisi che potrebbero essere utili alle scelte politiche.

L’inversione di rotta si impone immediata, troppi soldi sono stati spesi fino ad oggi per abbandonare l’idea ambiziosa di un ateneo che porti in Valle d’Aosta migliaia di studenti, ma gli ultimi dati sul numero degli iscritti testimoniano che è necessario agire. «Non potremo reggere alla concorrenza dell’enorme offerta attuale delle Università italiane e straniere - spiega l’assessore Luciano Caveri - se non dimostrando originalità e visione internazionale. Questa resta la logica e bisogna lavorare congiuntamente, uscendo da inutili polemiche che possono anche turbare gli studenti interessati ad iscriversi alla nostra Università.»

Propositi giusti, come erano giusti quelli di 20 anni fa, poi tutti si è arenato. Ora si parla di un abbandono del corso di Scienze della formazione primaria a partire dal prossimo anno accademico e di una verifica sulla necessità di mantenere attivo il corso di Psicologia che, secondo molti, ha ben poco impatto sulla realtà valdostana. L’Università della Valle d’Aosta ha bisogno di nuove idee e di percorsi legati alle nostre specificità di territorio. Bisogna riprogettare il modello universitario valdostano, perché non basta pensare all’involucro, bisogna pensare al suo contenuto.

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