Una vita tra santi e sogni di pietra Addio allo scultore Gino Daguin
«E’ come se dovessi strappare da una prigione eterna la figura che vedo all’interno della pietra, liberarla dalla sua immobilità secolare». Le sculture di Gino Daguin prendevano forma nella sua testa, prima che dalle sue mani. E raccontavano un mondo di fede e tradizioni, di santi e pastori, di sogni e faticose realtà. Ha esposto per tanti anni - a partire dal 1978 - alla Fiera di Sant’Orso, lasciando un segno profondo nel mondo dell’artigianato valdostano. Nella serata di giovedì scorso, 28 marzo, ha chiuso gli occhi per sempre all’ospedale Beauregard di Aosta. I suoi funerali si celebrano oggi, sabato 30, alle 14.30, nella chiesa parrocchiale di Hône.
Era nato il 3 febbraio del 1935 a Hône, unico figlio di Margherita Dugros e di Giovanni Daguin, entrambi contadini e allevatori. Da bambino si era “fatto le ossa” lavorando d’estate, fin dall’età di 8 anni, all’alpeggio La Manda. Poi frequentò l’Avviamento industriale a Verrès e trovò impiego alla Edilmeccanica di Hône, dove imparò a saldare, a elaborare i disegni tecnici e a tagliare le lamiere. Dopo il servizio militare cominciò a lavorare all’Ilssa Viola, per i primi 5 anni come saldatore elettrico, e poi come dipendente alla centrale idroelettrica di Donnas, fino alla pensione arrivata nel 1988.
La passione per la scultura è nata conoscendo Lucio Duc di Châtillon, maestro elementare a Arnad, dove viveva. Poeta, scrittore, pittore e scultore, allievo di Louis Meynet di Antey, Lucio Duc aveva aperto una scuola di scultura a Donnas, dove Gino Daguin andò per 3 anni la sera, dopo il turno di lavoro, diventando nel tempo amico del suo maestro. Da sempre affascinato dalla capacità degli artigiani di dare vita alla materia, iniziò a innamorarsi del legno. Finché, proprio insieme a Lucio Duc, cominciò a mettersi alla prova con la pietra ollare, sempre solo a mano, senza macchinari. «Andavamo a cercare queste pietre così malleabili in una vecchia frana a Champorcher, nel vallone del Rosier, nei luoghi dove in passato una cava era stata utilizzata per secoli: - raccontava - facevamo rotolare le pietre a valle fino alla strada e qui le caricavamo su un’Ape, per poi lavorarle e vendere le opere alla Foire de Saint Ours ad Aosta e prima a quella di Donnas».
Il banco di Gino Daguin, che negli anni è diventato un punto di ritrovo abituale per gli appassionati, si trovava in via Porta Praetoria, vicino al grande portone di Palazzo Ansermin tra la Pasticceria Nelva e il negozio di calzature Apostolo. Per scegliere le pietre da scolpire esaminava con attenzione la compattezza e la venatura, oltre naturalmente alla forma, che di per sé era per lui fonte di ispirazione. Dalle sue mani uscivano santi di cui valorizzava la dimensione umana: santi-contadini e santi-soldati. E poi il fil rouge dei lavori e delle stagioni che scandiscono la vita contadina: l’allevamento delle mucche, il trasporto del fieno, la vendemmia, la panificazione, il taglio della legna. Ha partecipato per 5 edizioni al Salon International des Santonniers di Arles in Francia, come anche alla Mostra internazionale dell’artigianato di Firenze e alla mostra dei presepi di Milano.
Tra ottobre 2021 e maggio 2022 ben 130 sue opere sono state esposte nella Collegiata dei Santi Pietro e Orso nell’ambito della mostra «Gino Daguin, sogni di ruvida pietra».
Si era sposato il 1° settembre del 1962 con Ines Danna Foy di Champdepraz, mancata già da alcuni anni. Lascia i figli Marco e Anna e i nipoti Micaela e Sofia.