Una storia un po’ da riscrivere 9. Gli “itinerari pacifici” della “Giovane Montagna”

Una storia un po’ da riscrivere  9. Gli “itinerari pacifici” della “Giovane Montagna”
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Per l’alpinista cattolico la montagna non è dunque luogo di ardimento, superamento dei limiti umani, sfida alla morte, ma luogo di socializzazione e disciplinamento. Una “maestra di vita” che educa alla durezza della vita terrena, alla prudenza e alla virtù. Nessun “alpinismo acrobatico”, “conquista dell’inutile”, “vie nuove” e “ultimi problemi delle Alpi”. Ma un “escursionismo di mezza montagna”, come lo definiva lo storico del diritto Carlo Guido Mor, attività che permette di “conoscere e di apprezzare la natura e gli uomini e di dare un contributo alla scienza”.

“Itinerari pacifici”, li definiva nel 1921, il teologo Mons. Gino Borghezio, redattore della rivista della “Giovane Montagna”, la principale associazione alpinistica cattolica. Un alpinismo “che parli di disciplina e di sacrificio, di doveri e di fraternità”. L’idea di una montagna per tutti, per famiglie, bambini, anziani. La democratizzazione di un’attività fino ad allora riservata a un’élite di maschi, giovani, sportivi e benestanti.

La “Giovane Montagna” era nata a Torino, nel 1914, nei palazzi dell’Arcivescovado. L’avevano fondata dodici amici, i “dodici apostoli”, provenienti dalle fila dell’"Unione del Coraggio Cattolico", la potente associazione fondata nel 1878 da Leonardo Murialdo, con l’obiettivo di “testimoniare in pubblico una fede forte e coraggiosa” e di raccogliere le energie sociali dei cattolici in opere di istruzione, assistenza e carità. Nel primo dopoguerra l’associazione conobbe un notevole sviluppo. Nel 1919 era nata a Saluzzo la prima sezione fuori Torino; nel ‘20 la sezione di Susa, nel ‘22 quella di Aosta, nel ’23 quella di Ivrea. Alla fine degli anni Venti si era diffusa in tutta Italia diventando la principale fra le organizzazioni di alpinisti cattolici.

Scopo della “Giovane Montagna” era “promuovere passeggiate alpine assicurando che nelle medesime, alla cura dello sport montano, non vada disgiunto e dimenticato l’adempimento del dovere di soddisfare il precetto festivo dell’assistenza alla Santa Messa”. Cuore dell’attività sociale era la gita, generalmente mensile, condotta sotto la guida di un “direttore di gita” e spesso con l’accompagnamento di un sacerdote, incaricato di portare la Messa in alta quota (“quelli della Messa al sacco” li chiamavano ironicamente i concorrenti laici). Gite sociali “con meta sempre facilmente accessibile anche agli alpinisti novellini”. Solo per piccoli gruppi di soci, “bene affiatati ed allenati”, si poteva “pensare ad ascensioni faticose e difficili”. Ogni estate era poi organizzata una “settimana alpina”, in tende o in “case di ferie”. Chi volesse farsi un’idea dell’andar per monti della “Giovane Montagna”, può leggersi on-line sul sito dell’associazione il brillante resoconto della settimana alpina nella conca di By, nell’agosto del 1922, che segnò anche la nascita della sezione di Aosta: un centinaio di partecipanti, una “tendopolis”, gite per tutti (Fenêtre Durand), ascensioni con guide per i più bravi (Mont Velan); tanta vita comunitaria, cucina in comune, canti, falò e naturalmente la Messa, all’aperto, nello spiazzo antistante Casa Farinet.

Una storia interessante quella della sezione valdostana della “Giovane Montagna”, una storia che stranamente non è ancora mai stata raccontata, nonostante il numero affatto irrisorio dei soci (una trentina i fondatori, già settanta due anni dopo) e la personalità dei suoi dirigenti: primo presidente Giovanni Jans, esponente di spicco del poi disciolto Partito Popolare, perseguitato dal fascismo in merito alle vicende del Crédit Valdôtain. Segretario il poeta Léon-Marius Manzetti. Tra i consiglieri, con attribuzioni che variano nel tempo, Vincent Piccone, l’autore de La clicca dzeusta, Dino Charrey, figlio del deputato e sindaco di Aosta (che morirà il 25 agosto 1929, con il fratello Jean e l’amico Cino Norat, tentando l’inviolata parete nord dell’Emilius), Tesoriere, rientrato in Aosta, Émile Chanoux. In sostanza il volto scoperto e il bacino di reclutamento della Jeune Vallée d’Aoste. Non stupisce che nell’agosto 1933 il questore di Aosta denunciò “la corrente clericale” che “aveva cercato di infiltrarsi nelle masse giovanili avvalendosi anche dell’ascendente esercitato nel favorire il movimento alpinistico”. In particolare, scrive al Prefetto, “l’associazione Giovane Montagna tendeva occultamente ad attrarre nell’orbita clericale i più animosi elementi giovanili”. La sezione valdostana verrà sciolta e non riaprirà mai più.

Le altre sezioni si salvarono a fatica dopo che i decreti istitutivi dell’Opera Nazionale Balilla e del Dopolavoro imposero lo scioglimento di ogni associazione giovanile e sportiva al di fuori del controllo statale. Fu la fine della Federazione Associazioni Sportive Cattoliche Italiane (FASCI) e dell’Associazione Scoutista Cattolica Italiana (ASCI). La “Giovane Montagna” nazionale si salvò, nel 1934, aderendo all’OND, come “Sottosezione Giovane Montagna del Club Alpino Italiano”, un declassamento che la poneva sotto il controllo Partito Nazionale Fascista (che notoriamente controllava i vertici del CAI) obbligandola a passare ogni attività al vaglio delle autorità politiche.

Ma, come accadde con gli scout, i giovani continuarono ad andare in montagna con i preti, magari sotto i vessilli dell’azione cattolica o nelle colonie estive dei salesiani o dei barnabiti. “Antifascismo sportivo”? Parole grosse. Certo la testimonianza di una diversità, di valori in contrasto con la pedagogia fascista e che generavano fastidio negli ambienti più radicali del regime. Sicuramente un’alternativa di massa alla concezione sportiva del fascismo e all’uso politico della montagna da parte del regime. Se il fascismo non è riuscito a conquistare completamente il mondo alpino è soprattutto perché la Chiesa tenne saldamente nelle sue mani l’educazione extrascolastica dei giovani e il tempo libero domenicale degli adulti (lasciando il sabato al fascismo). Andare in montagna, con quelle modalità indicate dalla cultura cattolica, divenne una sorta di distacco dal mondo, un “non possiamo opporci, ma non ci avrete”.

Fu così che la grande maggioranza degli italiani incominciarono ad andare in montagna con i preti e se è vero che le scalate dell’abbé Henry e di Pier Giorgio Frassati non potevano, né volevano, competere con quelle di Comici e di Cassin, l’uso pedagogico della montagna, inventato dai preti alpinisti e dai pedagogisti cattolici dell’800, rimase una delle più significative alternative culturali alla mitologia superomistica e all’uso nazionalistico e militare dello sport dominante nell’era dei totalitarismi.

Una voce oggi ancora presente, contro altri nemici…

(continua)

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