Una storia un po’ da riscrivere 6. Croci o bandiere?

Una storia un po’ da riscrivere 6. Croci o bandiere?
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Una storia un po’ da riscrivere 6. Croci o bandiere?

Marcare con un simbolo sacro la cima della montagne era una pratica antica, ma senza particolari significati politici. Il 28 luglio 1800 don Joseph Horrasch, alla guida di una spedizione promossa dal suo Vescovo, aveva raggiunto la vetta nevosa del Glockner, insieme a Valentin Stanig e ad alcuni falegnami incaricati di erigere in vetta una grande croce di legno. Nel 1820 Joseph Zumstein aveva portato sul Rosa una croce di ferro (con le proprie iniziali), ma essenzialmente allo scopo di erigere un punto trigonometrico. Nel 1858 Johann Joseph Imseng, parroco di Saas, aveva eretto una croce in legno sulla cima del Nadelhorn (4.327 metri), ma anch’essa a scopo trigonometrico.

Solo dopo il 1861, quando sulle vette alpine si incominciarono a piantare le bandiere nazionali (la prima probabilmente sul Cervino, il 17 luglio 1865, da Felice Giordano, Jean-Antoine Carrel e l’abbé Gorret, tre giorni dopo il trionfo e la tragedia di Whymper) il rito assunse un significato molto diverso e i preti incominciarono a posare croci, issare statue e celebrare messe in cima alle montagne.

Nel settembre del 1871, nel primo anniversario della presa di Roma, l’abbé Pierre-Louis Vescoz portò in cima alla Becca di Nona una statua in larice della Vergine Maria, di grandezza naturale, e propose (con scarso successo) di ribattezzare la montagna Monte Pio in onore del Papa Pio IX, “prigioniero” di Casa Savoia e “vittima” dell’Italia liberale.

Sulla stessa Becca, nel 1892, venne poi eretta una statua in bronzo della Madonna alta cinque metri. Nell’agosto del 1893 l’abbé Jean-Anselme Bonin, vice-parroco di Pré-St-Didier, celebrò la prima Messa sul Monte Bianco. Lo accompagnarono il vicario di Courmayeur, l’abbé Paul-Joseph Perruchon, l’abbé Henry, guide, portatori e un fotografo milanese che diede all’avvenimento grande rilievo sulla stampa. Henry, ricordando anni dopo l’impresa, affermava che da quel giorno il Monte Bianco non fu più “una montagna profana”, ma “lo sgabello dei piedi del Signore, la montagna ov’egli volle risiedere un istante”. Il 19 agosto 1893, don Ballot celebrava la Messa sul Monte Rosa, in occasione dell’inaugurazione della Capanna Margherita sulla Punta Gnifetti, in presenza della Regina. Il 13 dicembre 1900, l’abbé Henry fissava sulla cima del Gran Paradiso la “Croce commemorativa” dell’inizio del nuovo secolo”. Il 14 settembre 1902, l’abbé Antoine Carrel, vicario di Châtillon, guida alpina, celebrò la Messa e piantò la Croce sulla vetta del Cervino. II 16 settembre 1904, per celebrare il cinquantesimo anniversario della proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione, l’abbé Clapasson, curato di Courmayeur, fece issare una statua della Madonna sulla vetta del Dente del Gigante.

E non era un fenomeno locale. Il 5 agosto 1897, sul Monviso, il parroco di Crissolo, don Giacomo Lantermino (alla veneranda età di 68 anni) inaugurava solennemente la grande Croce di ferro e una statua di bronzo della Madonna collocate per sua iniziativa sulla vetta della montagna. Il 28 agosto 1899, sulla vetta del Rocciamelone, la montagna sacra dei cattolici piemontesi, meta di pellegrinaggi sin dal Basso Medioevo e a lungo creduta la più alta montagna d’Europa, venne inaugurata la Madonna delle Nevi, un bronzo di tre metri di altezza, opera dello scultore Stuardi, trasportata da una compagnia di alpini e benedetta dal canonico Tonda, il parroco-alpinista di Susa. Contemporaneamente, sulla vetta della vicina Ciamarella, veniva issata dalle guide di Balme e benedetta dal parroco del paese, la statua della Madonna Consolata. Il 4 agosto 1901 venne inaugurata dal cardinale di Venezia, Giuseppe Sarto, futuro papa Pio X, sulla cima del Monte Grappa, un bronzeo simulacro della Madonna col Bambino, realizzata dall’ingegner Augusto Zardo di Crespano, su invito del vescovo di Padova. Ferita da una granata austriaca durante la Grande Guerra, sarebbe divenuta la Madonnina più famosa d’Italia.

E’ evidente che non si trattava più di iniziative isolate, ma di un progetto di cristianizzazione delle vette. Il 5 settembre 1896, nell’ultima seduta del XIV° Congresso Cattolico Italiano, riunito a Fiesole, si annunciava un “piano di voto al Cristo Redentore”, iniziativa sollecitata da Papa Leone XIII per rendere omaggio a Gesù Cristo Redentore, consacrandogli diciannove monti d’Italia (quanti i secoli della Redenzione), con l’erezione di altrettanti monumenti. Venne costituito un Comitato Romano, con corrispondenti in diverse diocesi italiane, per scegliere i diciannove monti, in altrettante regioni italiane, da consacrare. La scelta doveva cadere sulla “vetta più visibile e insieme di possibile accesso”, laddove potessero essere accolte “piccole offerte occorrenti per l’acquisto del ricordo” e dove fosse possibile “promuovere un devoto pellegrinaggio”.

Impresa ardita, costosa, non sempre coronata da successo. Il 23 settembre del 1900, sulla Colma del Mombarone (2.372 metri), sopra Ivrea, venne benedetta la monumentale statua del Cristo Redentore, alta complessivamente diciannove metri, costruita con l’offerta dei fedeli di tutte le diocesi del Piemonte. Pochi giorni dopo, il 29 settembre 1900, era inaugurata la statua in bronzo del Cristo Redentore, di oltre cinque metri di altezza, portato sulla cima del Monte San Giuliano (727 metri), scelto dalla diocesi Caltanisetta a rappresentare la Sicilia.

Come ci ha raccontato un bel libro di Margherita Barsimi Sala (che avrebbe meritato maggiore diffusione) e un recente saggio di Oscar Gaspari (facilmente scaricabile da internet), in pochi anni tutte le più importanti cime d’Italia erano diventate terra di conquista, luoghi da segnare con simboli sacri, altari innalzati al Signore tra il cielo e la terra a simbolo di una rinnovata alleanza. Le statue, le croci e le messe di vetta rappresentarono un’occupazione simbolica dello spazio alpino attraverso la quale il clero cercò di riaffermare di fronte al mondo moderno il legame tra la terra e il cielo e il ruolo della Chiesa come guida spirituale dell’uomo.

Era solo l’inizio, l’alpinismo cattolico, negli anni successivi, si sarebbe spinto ben oltre.

(continua)

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