«Un nuovo ospedale e non l’ampliamento di quello vecchio è la soluzione giusta»

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Il corpo esausto dell’Ospedale “Parini” si è purtroppo riempito per la seconda volta di malati Covid. Forse un inno dovremmo farlo non al guerriero celtico ma a quello che da 80 anni combatte per restare piedi affrontando tutte le intemperie con cui gli uomini costruttori continuano a colpirlo.

In oltre 38 anni di professione medica all’Ospedale Parini, per le aumentate esigenze via via emergenti, ho visto continue ristrutturazioni, spostamenti di reparto, piastre, ali nuove, quadrilateri, tunnel di collegamento... Sempre all’inseguimento di una parola magica: spazio. Spazio che non bastava mai. Intanto i magazzini andavano altrove, l’archivio delle cartelle cliniche pure, corridoi di reparti nuovi di zecca si intasavano di carrozzelle, barelle, carrelli di servizio. Gli spazi sociali inesistenti. Le piccole stanze di reparti nuovi con spazio non a norma trai letti. Anni di polvere, rumore, ascensori da cui uscivano carrelli di operai e entravano barelle con malati. Poi la raccolta di firme, migliaia, per indire il referendum. Un collega, Primario, vedendomi al banchetto per la raccolta delle firme alla porta dell’ospedale, esclamò: “Che coraggio!”. Un po’ mi vergogno ancora dell’uso sconsiderato della parola coraggio, ma rendeva l’idea del clima.

Poi il Referendum. La maggior parte dei votanti si pronunciò per l’ospedale nuovo, ma il quorum non venne raggiunto. Alcuni (quanti?) cittadini elettori avevano ricevuto un sms che consigliava “Domenica non andare al seggio”, mittente un autorevole e poco accorto politico del tempo.

Nel 2015 l’importante ritrovamento archeologico. Un miracolo, pensai all’epoca: questa volta prevarrà il buon senso, un bel sito archeologico di importanza mondiale, con un bel ritorno turistico e di immagine per la nostra città. Invece no, si riduce la volumetria (spazio in meno) nel progetto. E poi un’apnea, nulla si muove e sulla strada rimane e sbiadisce la massima, di incerta origine: “L’avvenire comincia sempre con un cantiere”.

Quindi qualcuno deve aver pensato che dove ci sta un museo ci può ben stare un pezzo di ospedale in più, in zona trafficatissima, vicina a un plesso scolastico, con un cantiere che durerà anni. Ah sì, la zona per l’elicottero. Beh magari a qualcuno verrà in mente che si può fare sul tetto, un po’ di voli avanti e indietro e di atterraggi in pieno centro storico. Non me ne intendo ma andrà sicuramente bene.

Infine arriva la pietra tombale sulla ristrutturazione: la pandemia.

Il corpo esausto del “Parini” regge l’urto, grazie al sacrificio e all’impegno di tutto il personale sanitario, ma a prezzo di un blocco quasi completo dell’assistenza sanitaria normale, del sovvertimento di interi reparti, e c’è voluto l’ospedale da campo. Quante difficoltà in meno ci sarebbero forse state con un ospedale moderno, fuori dal centro storico, modulare, con facilità maggiore di separazione dei percorsi.

Dopo questa pandemia, che purtroppo molti esperti dicono tutto il modello della nostra sanità. Occorre attrezzarsi con occhi nuovi, ci sono finanziamenti importanti in arrivo, oltre a quelli già stanziati. C’è finalmente la possibilità di dare alla nostra Valle un ospedale nuovo, nel verde, funzionale per i pazienti prima di tutto ma anche per chi ci lavorerà, facilmente accessibile alle vie di comunicazione, e alle persone disabili. Un Ospedale, non un pezzo di Ospedale che una volta completato (anni e anni) richiederà altri anni di cantiere per ristrutturare (ancora!) il vecchio corpo di Viale Ginevra.

Il momento per dimostrare che la tragedia pandemica ci ha insegnato qualcosa è ora! Vorrei consigliare ai decisori politici la lettura dell’ intervista di Renzo Piano su La Stampa del 4 aprile scorso su cosa vuol dire costruire oggi un ospedale a misura d’uomo. Un ospedale, non un pezzo di ospedale.

I ragazzi uscendo dalla scuola di viale della Pace invece di un cantiere e del via vai dei mezzi di soccorso, con sottofondo di sirene, incontreranno gruppi di turisti diretti a fruire dei reperti archeologici, che chiederanno informazioni su un buon ristorante. Magari si riuscirà a fare un bellissimo museo, pieno di luce e non solo di cemento - eventuale viaggio a Trento per ispirarsi al Muse, poco cemento e molta luce - o addirittura a piantare qualche albero, uscendo dalla strategia delle fioriere come verde pubblico.

Il corpo esausto del vecchio ospedale, che tanto e onorato servizio ha svolto, ringrazierà e con lui alla fine molti cittadini.

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