Un museo diffuso per Ayas Presentato il nuovo progetto
Il paesaggio è la carta d’identità di un territorio. Occorre riconoscere il valore di quello che esiste per rendere più fruibile il patrimonio culturale e antropologico di Ayas, dando voce anche agli abitanti. Il progetto “Ayas è museo diffuso” sta prendendo forma ed è stato presentato sabato scorso, 19 novembre, all’auditorium di Monterosa Terme, dal comitato scientifico, dal sindaco di Ayas Alex Brunod e dall’assessore al Turismo Corinne Favre, che ha dichiarato di credere in questo progetto «per riappropriarci delle nostre radici: lo dobbiamo ai nostri antenati».
«Spesso si dice che l’Italia è un museo diffuso. - ha ricordato l’archeologa Elisabetta Franchi - Ayas, con i suoi 27 villaggi e 3 località, è un Comune diffuso. Unendo i 2 concetti, abbiamo creato questo progetto che è tuttora in divenire. Ayas non esiste... è i suoi villaggi è una difficoltà da far diventare pregio. Lo scopo è far incuriosire un visitatore, partendo da pannelli in rapporto con il sito web Visitayas.it, dove nella sezione apposita “Ayas è museo diffuso” si trovano tutti gli approfondimenti. In ogni pannello figurano, in alto, l’immagine dal drone, un testo descrittivo principale in italiano e in inglese con approfondimenti e un “Qr Code” che rinvia al sito internet. I testi sono autosufficienti, non presuppongono né un prima né un dopo. Siamo partiti da un villaggio campione: Lignod. Non vogliamo creare percorsi, ma strumenti per incuriosire le persone, che hanno la fortuna di vivere o muoversi ne contesto di Ayas».
«Il patrimonio materiale è importante quanto quello immateriale, sono 2 facce della stessa medaglia. - ha aggiunto Saverio Favre, esperto di franco-provenzale, già a capo del Brel - Il rascard è una bella costruzione ma, se non si sanno la sua origine e i suoi usi, non ha molto significato. Il museo diffuso è un museo che gli antenati hanno già costruito. Va solo riscoperto, valorizzato. La comunità locale deve giocare un ruolo da protagonista, deve mettere in comune le proprie conoscenze per trasmetterle alle generazioni future, perché negli ultimi 50 anni la trasmissione dei saperi si è interrotta, dall’avvento della televisione in poi. Dobbiamo tutelare e rendere fruibile questo patrimonio, che è già presente sotto i nostri occhi».
Le Alpi sono tutte segnate dalla mano dell’uomo. Di naturale c’è poco, per l’80 per cento sono paesaggio culturale. E, secondo Annibale Salsa, antropologo, «il museo diffuso consente di guardare con occhi diversi quello che abbiamo vicino, non è altro che la presa di coscienza dello spazio di vita che è il paesaggio. Chi viene da fuori ha meno strumenti perché non ha la memoria storica. Per questo il progetto si rivolge ai turisti ma anche, in primo luogo, ai locali, perché la modernità ha prodotto una sorta di analfabetismo di ritorno e ha creato talvolta il desiderio di rimuovere un passato di povertà».
Alla fine della tavola rotonda l’archeologo Mauro Cortelazzo ha ricordato l’importanza che la pietra ollare avrà nel progetto, soprattutto grazie allo scavo a Les Fusines di Saint Jacques, un’area in cui esistevano laboratori per la sua tornitura dalla tarda antichità al primo Medioevo, dopo la caduta dell’Impero Romano e prima dell’arrivo dei Walser.