Tra Valsavarenche e Villeneuve, l’amore per la musica, la passione per l’olio di noci: Valentino Georgy
La stagione primaverile è anche la stagione di produzione dell’olio di noci, un’antica tradizione che a Villeneuve conoscono bene, da quando un antico frantoio è utilizzato dalla famiglia Georgy, insediatasi nel paese nei primi anni dell’Ottocento. Proprio a Villeneuve vive Valentino Georgy, erede di Antoine Georgy, colui che acquistò il torchio e che di mestiere faceva il fabbro.
Personaggio conosciuto nell’ambiente scolastico valdostano per essere stato tanti anni, dal 1972, insegnante di matematica e scienze naturali prima agli studenti delle medie di Cogne, poi ad Aosta alle Magistrali, a Ragioneria, al Liceo classico e allo scientifico, come pure all’Istituto d’arte, fino alla del 2011, Valentino Georgy è nato il 2 gennaio 1951 nel capoluogo regionale da Antonio, classe 1923, e Lauretta Perrier, da tutti chiamata Laurette, nata nel 1927 e mancata due anni fa, a novantaquattro anni, figlia di Emilien Perrier e Salvine Pellissier, entrambi del 1896, mentre a Valentino venne dato il nome del nonno paterno, che era del 1904, sposato con Faustine Garin di Arvier del 1906, della stessa famiglia di Maurice Garin che vinse, nel 1903, la prima edizione del Tour de France.
Per Valentino Georgy i ricordi dell’infanzia si situano proprio a Arvier, alle sue tante estati trascorse al pascolo nei prati circostanti il villaggio di Verney, con i nonni Emilien e Salviene, insieme alla sorella Teresa, nata tre anni prima di lui, nel 1948. Dopo la scuola elementare frequentata a Villeneuve, per lui erano arrivati i tre anni dell’avviamento commerciale, poi il passaggio all’Istituto Tecnico per Geometri, sino al diploma conseguito nel 1969. Quindi la grande avventura a Torino, per il periodo degli studi universitari alla facoltà di Agraria, dove si laurea nel 1981 con una tesi sullo studio delle fasi vegetative dei vigneti a lui cari dell’Enfer di Arvier.
«All’Università di Torino conobbi Roberto Avetrani di Valtournenche e incontrai altri due amici valdostani, Remo Cullet di Gignod e Adriano Curtaz di Gressan. Ci misi un po’ a laurearmi - racconta Valentino Georgy - ma solo perché i miei genitori mi imposero di mantenermi agli studi con le mie risorse. Così per diversi anni cominciai con le supplenze per guadagnare qualcosa, sia a Cogne che ad Aosta. Furono anni di sacrifici, ma il risultato finale arrivò con grande soddisfazione per me, innanzitutto, e per la mia famiglia. Scoprì anche grazie a quell’impegno che insegnare era la mia passione, quello che volevo fare e che fatto fino al 2011, anche se non posso dimenticare che da ragazzo, ogni estate, con mio zio Marcello Perrier, fratello della mia mamma Laurette, diventato un piccolo impresario edile, lavoravo come boscaiolo e manovale. Per mia fortuna, invece, non ho prestato il servizio militare e, a dire la verità, non mi è dispiaciuto per niente. Nel mese di giugno del 1977, infatti, era nato Roger, mio figlio. Essendo anche sposato ho potuto chiedere un rinvio della chiamata, sarei dovuto partire nel gennai 1978, e poi ottenere con la sua nascita il congedo.»
Era il 13 settembre 1975, quando Valentino Georgy e Annamaria Dupont si sposarono nella cappella Sant’Anna di Bien a Valsavarenche. Il loro matrimonio fu celebrato da don Dino Moris, parroco di Villenuve, e il pranzo si tenne al ristorante dell’Albergo Parco Nazionale di Dégioz, dove il vino portato in tavola era quello dell’Enfer, prodotto ancora oggi da Valentino Georgy nei vigneti di famiglia.
«Quello fu un giorno importante. Con mia grande sorpresa - sorride Valentino Georgy mentre racconta - gli amici della corale di cui ero già direttore dal 1971, si nascosero nella piccola cantoria e mi regalarono un canto. Ricordo che piansi. Quando Roberto Avetrani seppe che io e Annamaria avevamo deciso di sposarci, scrisse per noi una canzone. Lui conosceva tutti quelli che facevano parte del coro. I miei amici erano anche i suoi amici. E tutti insieme avevano deciso di ritrovarsi di nascosto da me, nella taverna dell’Hôtel Des Roses a Villeneuve per le prove. La canzone non aveva un titolo e fui poi io a darglielo: “Euna nat” (Una notte). Parlava di me, ancora studente, senza un lavoro fisso, insegnante sì ma molto precario e che andava a sposarsi senza avere prospettive. La canzone aveva una melodia dolcissima e con un finale di speranza con la luce del giorno non poi così lontana. Quella luce arrivò e ben presto mi fece capire quanto fosse stato importante per me, che amavo l’agricoltura, avere studiato agraria. Non fu per niente difficile, quindi, aiutare mio suocero Roberto Dupont quando d’estate si spostava, nella Valsavarenche, tra l’alpeggio di Pravieux all’attacco del sentiero per l’attuale Rifugio Federico Chabod, e i tramuti superori di Lavassey, ormai abbandonato, e Montandayné. Mio figlio Roger aveva solo cinque anni quando cominciò ad andare al pascolo con i nonni.»
Da quei lontani momenti, di anni ne sono trascorsi e oggi, Roger Georgy, padre di Beatrice e Alain, nati nel 2007 e nel 2009, dopo essere stato tecnico comunale nel Municipio di Dégioz, è dallo scorso novembre il sindaco di Valsavarenche.
Il racconto di Valentino Georgy prosegue spaziando ancora dalla sua passione per il canto alla produzione dell’olio di noci. Per lui infatti parla il mezzo secolo di direzione della Chorale Châtel Argent di Villeneuve, fondata nel 1971, sotto la spinta dell’allora maestra elementare Elvira Juglair di Saint-Christophe. «Da giovani ragazzi di paese - ricorda felice Valentino Georgy, che dopo cinquant’anni da dicembre 2022 ha smesso di dirigere - ci si ritrovava molto spesso in gruppo anche per suonare. Io suonavo diversi strumenti, come la chitarra classica, la chitarra basso e in seguito anche il sax, Bruno Fabbri cantava e suonava la chitarra classica, ogni tanto si aggiungeva Guido Gressani alla batteria e Adriano Curtaz alle tastiere.
Eravamo degli adolescenti con tanta energia in corpo che suonavano per le vie del paese. Il nostro gruppo musicale non aveva un nome, ma tutti ci chiamavano “I Rabadan”. A noi si sono poi uniti due ragazzi di Courmayeur: Paolo Salomone e Albert Tamietto. Per un bel po’ di tempo, da “I Rabadan” siamo diventati per tutti “I Goti”. Di sicuro non ci annoiavamo. Poi la maestra Juglair un giorno contattò i suoi ex alunni di Villeneuve, compreso me, per organizzare uno spettacolo teatrale, prendendo spunto da alcune pièces dello Charaban. A quell’epoca noi giovanotti di paese cantavamo in cantoria. Io facevo già il direttore e colsi l’occasione per dire che, tra una pièce e l’altra, la cantoria avrebbe potuto esibirsi con il suo repertorio. Il 3 febbraio del 1971 quindi ci esibimmo con grande entusiasmo in occasione dello spettacolo organizzato per la festa patronale di San Biagio. La nostra esibizione piacque molto alla gente e la maestra Juglair disse a tutti noi “facciamo la corale!”, salvo poi iscriverci subito a Les Floralies di Aymavilles, il raduno regionale delle corali. Il suo entusiasmo fu importante per tutti noi. La nostra corale nacque così: follia pura, divertimento e tanta allegria. Questo però non toglie merito a quanto fatto in seguito grazie anche al coinvolgimento dei direttori delle corali valdostane. Ricordo molto bene il professore Luigi Bellegotti, preside delle scuole medie di Morgex e Cogne, che aveva fondato il gruppo “Lo Tintamaro”, Guido Sportelli storico direttore per oltre cinquant’anni del Coro Penne Nere con cui ho condiviso una forte amicizia e Pino Cerrutti maestro validissimo del Coro di Verrès. Ma se da una parte c’era l’impegno con la corale, qualcosa d’altro dovevo pur fare. Con il Centre Culturel de Villeneuve di cui facevo parte organizzavamo eventi culturali e sociali, era un centro di attivismo politico non indifferente, con una forte consapevolezza di essere cittadini e non solo dei numeri.»
Quello che, invece, Valentino Georgy non riesce a smettere di continuare a fare è produrre l’olio di noci, secondo l’antica tradizione di famiglia tramandata giacché Antoine Georgy, suo bisnonno paterno, acquistò nei primi anni dell’Ottocento diversi appezzamenti di terreno e alcuni fabbricati a Villeneuve, trovando all’interno di uno di questi il torchio in uso ancora oggi.
Valentino Georgy si diverte a ricordare chi fosse suo bisnonno, una persona un po’ particolare, anticlericale e che all’epoca si divertiva a scherzare un po’ con tutti. «Un giorno un signore anziano di Villeneuve mi raccontò che il bisnonno Antoine bisticciava sovente con il parroco di turno. Mi viene sempre da pensare quindi alle scene di Peppome e don Camillo e non posso che sorridere. Però lui, il bisnonno, poi sposò una donna tutta casa e chiesa! Vogliamo immaginare il resto?» e Valentino Georgy, che non riesce a trattenere la risata, fa eccome immaginare il resto. Il direttore, ormai ex, della Chorale Châtel Argent riprende fiato e pure il filo del discorso legato alla produzione dell’olio di noci. Il torchio era attivo già dalla fine del Seicento e se le mura di quella cantina dove ancora compie il suo onorato lavoro di spremitura potessero parlare racconterebbero molte storie di vita della Valle d’Aosta d’antan.
«La tradizione della produzione dell’olio di noci è continuata attraverso mio nonno paterno Valentino, mio papà Antonio e suo fratello Mario “Cino” per tutti, ovvero mio zio. Furono loro a costruire tutto il processo di elettrificazione, trasformazione e meccanizzazione del torchio che funzionava ad acqua. Oreste Naudin di Introd venne a Villeneuve nel 1945 per aiutare mio padre e ricordo che mi raccontava sempre di come si faceva all’epoca, con la grossa macina di pietra utilizzata per la frantumazione dei gherigli che veniva fatta girare da una pala idrica, mentre l’argano funzionava ancora con l’intervento della sola forza delle braccia umane. Un’immagine che è scolpita nella mia mente, perché di quella mola ricordo tutto seppure fossi piccoli, visto che avevo non più di cinque anni.»
Antonio Georgy lavorava come meccanico-riparatore alla centrale idroelettrica Champagne 2 di Villeneuve, entrata in funzione nel 1939 per alimentare lo stabilimento della Cogne ad Aosta. Una volta andato in pensione, è lui a prendere l’eredità del torchio da Valentino senior e con la moglie Laurette continua a produrre l’olio. Gli anni passano anche per loro, però. Ed è così che Valentino junior Georgy durante le vacanze di Pasqua aiutava i genitori.
Nel frattempo cresce anche Roger che comincia a sua volta ad aiutare il padre ed i nonni. Quando Antonio Georgy decide di smettere propone a figlio e nipote di continuare, cosa che Valentino e Roger Georgy accettano.
Un tempo, in Valle d’Aosta, l’olio di noci era utilizzato da quasi tutte le famiglie come condimento per diverse pietanze della dieta di allora, vista l’estrema rarità dell’olio di oliva, che pochissimi potevano permettersi e che doveva arrivare dalla Liguria, commercializzato in particolare ad Aosta, dove giungeva con i vagoni merci in particolari recipienti per essere poi travasato nelle bottiglie per la vendita. Particolarmente apprezzato sulle insalate primaverili ed estivi oppure nelle minestre invernali, l’olio di noci si abbinava durante alla lavorazione dei gherigli spremuti a freddo con “lo troillet”, il residuo che veniva utilizzato per preparare dolci e salse, oppure per condire la pasta e come ripieno degli agnolotti.
Oggi l’olio di noci può essere considerato a ragione una “chicca”, un prodotto di nicchia ricercato anche dai migliori cuochi e pasticceri. «Di noci questo nostro antico attrezzo - aggiunge Valentino Georgy, che non nasconde il desiderio di vedere che anche i nipoti un giorno portino avanti la tradizione familiare - ne ha torchiate davvero tante. Il legno della “spalla” più in alto è un pezzo unico di tronco di noce di circa due metri e mezzo di lunghezza, per un metro di lato. È enorme. Lì è infilata la vite del torchio. Ed è bello e sempre emozionante vederlo lavorare. Tutto inizia dalla raccolta delle noci in autunno. Quella della produzione dell’olio di noci era un servizio che già il mio bisnonno Antoine offriva alla gente di Villeneuve e dei paesi vicini che partiva dai rispettivi villaggi con i carretti carichi e arrivava a Villeneuve dove per giorni poi si faceva festa. Ancora oggi, da noi vengono persone anche dal Piemonte oltre che da Avise, Introd, Pollein, Sarre, Saint-Nicolas e pure da La Salle. Da sempre abbiamo scelto il mese di marzo per produrre l’olio. Le noci sono secche al punto giusto e si ha tutto il tempo di pulirle e mondarle. Il mese di marzo poi coincide con il periodo delle cicorie dei prati e chi ama questo piatto, da buon intenditore, le condisce solo con l’olio di noci.»