Stagione dell’alpeggio nell’Unesco La Valle d’Aosta resta alla finestra
Sotto i ghiacciai e le vette delle montagne pochi chilometri in linea d’aria separano gli alpeggi della Valle d’Aosta da quelli del Vallese. L’erba è la stessa come gli uomini sono gli stessi, uguale passione, bestiame che per secoli si è scambiato attraverso i colli, cercando le migliori genealogie. Lavoro duro ma che rende orgogliosi, tanto orgogliosi che dalla scorsa settimana la stagione dell’alpeggio per il Vallese è diventata patrimonio culturale immateriale dell’Unesco.
Dal Botswana, a Kasane, lontanissimo villaggio africano tra gli elefanti, martedì 5 dicembre il Comitato intergovernativo dell’Unesco ha accolto la candidatura dell’Office fédéral de la culture della Svizzera iscrivendo l’estate dell’alpe nella lista del patrimonio dell’umanità, una decisione accolta che grande soddisfazione dalle istituzioni elvetiche, così legate al mondo dell’allevamento del bestiame ed alla tradizione della monticazione in quota.
Una tradizione che è stata apprezzata dai delegati dell’Unesco in quanto unisce le capacità del passato e del presente proiettandole verso il futuro, ma conservando sempre dei rituali ancestrali ed immodificabili, appartenenti non solo ad una cultura unica ma anche ad un’economia di montagna indispensabile per il mantenimento del territorio e per garantire un reddito adeguato a chi sceglie di perseverare nel solco tracciato da coloro che lo hanno preceduto.
Presentato nel marzo del 2022, il dossier della candidatura - coordinato appunto dall’Office fédéral de la culture e dagli specialisti federali del patrimonio culturale e agricole - ha beneficiato pure dell’appoggio di un gruppo trasversale composto da esperti dell’economia alpestre, dai Cantoni, dai musei, dai parchi naturali, insomma da una sinergia generale fondata sulla diffusa sensibilità tipica della Svizzera sulla fondamentale importanza del mantenimento delle pratiche tradizionali dell’alpeggio.
Tutto è stato studiato ed inserito nel dossier. A cominciare dalla storia della monticazione risalente al medioevo, al suo adattamento alle condizioni climatiche, sociali ed economiche, al lavoro per la fabbricazione di prodotti alimentari di qualità che hanno reso famosa la Svizzera nel mondo, alla gestione oculata dei pascoli, fino ai canti tradizionali legati all’enarpa e alla desarpa, quindi un repertorio complesso di tanti elementi che costituisce un patrimonio ancora oggi attuale e rispettato.
Differenze con la Valle d’Aosta? Nessuna. O meglio un maggiore rispetto in Svizzera per chi si occupa di alpeggi. Ed ora dal Vallese ai vari Cantoni dove la pratica della gestione dell’alpeggio è una consuetudine la decisione dell’Unesco determinerà uno straordinario atout, sia per la valorizzazione dei territori in quota che per la commercializzazione dei prodotti.
A ben vedere però la differenza fondamentale sta in chi governa. Nel 2014 con una programmazione invidiabile - da svizzeri direbbe qualcuno - il Conseil fédéral organo di governo della Confederazione aveva già individuato 8 dossier da inviare all’Unesco e con la tipica puntualità e caparbia dei nostri vicini li hanno visti approvare uno dopo l’altro. La Valle d’Aosta sta nel mezzo: dal 2018 Ivrea è diventata città industriale patrimonio dell’Unesco, ora è toccato al Vallese e ad altri Cantoni dove si pratica la stagione dell’alpeggio. Noi appunto siamo nel mezzo, abbiamo le stesse cose degli altri, loro progettano e le valorizzano, noi no.