Spedizioni extraeuropee delle guide valdostane Una grande storia ancora da raccontare

Spedizioni extraeuropee delle guide valdostane Una grande storia ancora da raccontare
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La spedizione delle guide valdostane Marco Camandona, François Cazzanelli, Emrik Favre, Jerome Perruquet, Roger Bovard e Pietro Picco, di cui abbiamo parlato la settimana scorsa, partita in questi giorni per il Pakistan all’attacco di tre ottomila, il Nanga Parbat, il K2 e il Broad Peak, ci riporta ad altri tempi e altri luoghi che hanno visto le guide valdostane protagoniste di grandi spedizioni internazionali.

Ne parliamo con il massimo esperto, Pietro Giglio, guida alpina e storico dell’alpinismo.

Quando e perché le guide valdostane hanno incominciato a essere ricercate per impegnative spedizioni internazionali?

Nel 1865 la prima salita del Cervino da parte di Edward Whymper concludeva la fase dell’alpinismo esplorativo sulle Alpi e i suoi protagonisti si ritrovarono uniti in una delle prime spedizioni extraeuropee. Nel corso dei tentativi alla Gran Becca Whymper aveva conosciuto il valore della guida di Valtournenche Jean Antoine Carrel e nel 1879 lo ingaggiò, insieme al cugino Louis Carrel, per la “conquista” del Chimborazo, cima di 6.310 metri nelle Ande dell’Equador. Insieme salirono in quinta ascensione anche il Cotopaxi di 5.943 metri, sempre in Equador. Al ritorno Whymper fu talmente soddisfatto dell’opera dei due valdostani che nel corso del banchetto annuale dell’Alpine Club affermò «…non esito a dire che se questi due uomini fossero stati di ritorno da una spedizione governativa inglese, avrebbero certamente fruito di una promozione, di un aumento di paga e avrebbero inoltre avuto l’avvenire assicurato».

Sappiamo molto di Whymper, del Duca degli Abruzzi, ma poco degli uomini che lo accompagnavano. C’è qualche figura significativa fra questi quasi sconosciuti pionieri dell’esplorazione artica e delle grandi montagne del mondo? Qualche storia che meriterebbe di essere raccontata? Mi pare una bella storia ancora tutta da scrivere…

Il Duca degli Abruzzi aveva imparato ad apprezzare le guide alpine di Courmayeur attraverso il presidente della sezione del CAI di Torino Francesco Gonella. Gonella aveva letteralmente introdotto il Duca all’alpinismo, attività che portò Luigi Amedeo di Savoia a diventare uno dei massimi esploratori italiani, in grado di competere con gli esploratori scandinavi e statunitensi, sempre servendosi dell’opera delle guide alpine di Courmayeur e di Valtournenche. Per la prima delle sue spedizioni nel 1897, quella al Monte Sant’Elias di 5.489 metri al confine tra lo Yukon e l’Alaska, scelse guide del Monte Bianco e del Cervino. Ma per le spedizioni che gli diedero la fama predilesse quelle di Courmayeur: nel 1899-1900 per la spedizione al Polo Nord Alexis Fenoillet, Félix Ollier, Joseph Petigax, Cyprien Savoie. Nel corso di un tentativo al Polo Félix Ollier non fece più ritorno e la spedizione tornò in Italia dopo aver raggiunto 86°34’ di latitudine.

Ancora oggi il valore, l’abnegazione, il coraggio, la perizia di quelle guide alpine non sono stati sufficientemente apprezzati. Grazie alle guide di Courmayeur il Duca degli Abruzzi ha ottenuto un risultato di valore equivalente e quello di esploratori quali Fridtjof Nansen e Robert Peary. Per spedizioni in simili ambienti Luigi Amedeo di Savoia aveva dibattuto con l’esploratore e co-fondatore della National Geographic Society Israel Russell sulla superiorità tecnica delle guide alpine rispetto ai marinai.

Questa è una storia tutta da ri-scoprire, che proietta l’operato delle guide alpine in un contesto internazionale. Della tragica spedizione Nobile al Polo Nord del 1928 è stato realizzato un film, La tenda rossa. Anche la spedizione e gli uomini del 1899-1900, con la stessa meta, meritano altrettanto.

Oggi le guide partono per conto loro, senza clienti paganti. Cosa è cambiato dai tempi dei Carrel e dei Maquignaz, dei Petigax e dei Brocherel. Che significato hanno oggi queste spedizioni esplorative?

Dopo la prima salita dei 14 Ottomila da parte di Reinhold Messner, l’alpinismo himalayano ha cambiato pelle. La fase puramente esplorativa si è conclusa e gli alpinisti di punta hanno rincorso per un decennio la ricerca di nuovi itinerari sugli Ottomila e sulle montagne geograficamente più decentrate.

Tra le imprese più significative con la partecipazione delle guide valdostane nella fase esplorativa figurano la prima salita del K2 nel 1954 e la prima salita del Kanjut Sar di 7.760 metri nel Karakorum nel 1959, salito in solitaria da Camillotto Pellissier.

A seguito della spedizione valdostana al Kangchenjunga, terza cima della Terra, capitanata nel 1982 da Franco Garda, c’è stato un progressivo avvicinamento delle nuove generazioni di guide alle vie già percorse sugli Ottomila. In questa fase i capi scuola Abele Blanc e Adriano Favre hanno avviato le guide più giovani alla confidenza con le montagne himalayane. Opera proseguita da Marco Camandona, che ha condotto nel 2003 una spedizione quasi riuscita sulla difficile parete sud dell’Annapurna.

Tra i personaggi valdostani contemporanei attivi in Himalaya, Hervé Barmasse si è inserito nella sfida invernale agli Ottomila con un recente tentativo al Nanga Parbat che ha intenzione di ritentare.

L’esperienza di Marco Camandona e di François Cazzanelli, che nel 2018 aveva condotto sull’Everest l’astronauta Maurizio Cheli, saranno di stimolo ed esempio per i partecipanti più giovani.

Per formare una squadra pronta per sfide ancora più impegnative ci vuole tempo e le guide valdostane si stanno preparando proprio sugli Ottomila. Le 14 cime più alte della Terra restano terreno privilegiato perché risultano ancora spendibili in termini di visibilità, in particolare da parte degli sponsor. Le guide alpine valdostane stanno raggiungendo una maturità che le porterà presto verso le nuove sfide del grande alpinismo.

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