Silvio Dalbard, una vita trascorsa nel segno di valori antichi e del ritmo della natura
Silvio Dalbard non impostava mai l’orologio sull’ora legale, per tutto l’anno seguiva quella solare. Non capiva il senso di quello spostamento di lancette quando per lui i ritmi erano sempre gli stessi: quelli della natura, delle sue mucche, dell’alternarsi regolare dei giorni e delle stagioni. Nella notte tra martedì e mercoledì scorsi, 23 e 24 novembre, a 92 anni, ha chiuso gli occhi su un mondo che ha visto cambiare ma che non lo ha cambiato, perché Silvio Dalbard è rimasto sempre fedele ai suoi valori, semplici e saldi come lui. I suoi funerali sono stati celebrati nel pomeriggio di giovedì scorso, 25 novembre.
La famiglia e l’allevamento sono stati la sua vita. Era il suo destino fin da quando nacque, il 22 luglio del 1929, da papà Callisto e mamma Celestina Celesia, penultimo di 6 fratelli: dopo Attilio, Matilde, Albino e Lubina e prima di Aldo. Fin da quando, a 9 anni, andava a piedi da Pollein alla montagna di Tronchey, a Courmayeur, l’alpeggio di famiglia. «Io non ho studiato, ma non avrei voluto fare altro nella vita», diceva. Ereditò la casa e la stalla di papà Callisto nel capoluogo di Pollein e vi ricoverò fino a un centinaio di mucche, che d’estate portava sempre in Val Ferret ma in altri alpeggi, a La Nouva e al Malatrà. Il 26 novembre del 1955 si sposò a Gignod con Romilda Torchet, da cui ha avuto 2 figlie: Milena nel 1956 e Tiziana nel 1961. Un’unione forte, quella tra le 2 famiglie: con il cognato Grato - mancato nel 2001 - e il suocero Lino, Silvio Dalbard condivideva la passione per le bovine di qualità. Loro prediligevano le “nere” da battaglia - da cui ebbero delle belle soddisfazioni nei concorsi regionali - e anche a Silvio piacevano le batailles. Preferiva però le “rosse” da latte ed era un vero maestro nella produzione della Fontina, con cura e attenzione. «E’ meglio fare un po’ meno quantità ma avere una migliore qualità» sosteneva quando vedeva qualche “giovane” che correva troppo. Per lui la lentezza era importante: non certo quella degli oziosi - ha lavorato instancabilmente per tutta la vita - ma quella di chi sa che ogni azione richiede il suo giusto tempo. Un uomo dalla vita semplice, sempre con il sorriso, che conosceva il valore delle piccole cose, che fino ad età avanzata si teneva informato su ciò che accadeva nel mondo - dalla politica ai progressi della tecnologia - e che aveva le sue idee ben chiare, dando consigli solo se gli venivano richiesti, con la discrezione tipica di una volta.
Credeva così tanto nel naturale ritmo degli eventi da essere doppiamente ferito se questi lo tradivano, rivelando il lato incomprensibile della vita: come quando, nel 2000, sua nipote Francesca si spense a 20 anni per una leucemia. O quando - il 17 giugno del 2020, ha chiuso gli occhi per sempre il suo fratello minore Aldo, classe 1935. Con la scomparsa di Albino - il 16 settembre scorso - e ora di Silvio, dei fratelli Dalbard rimane solo Lubina, che vive a Courmayeur. Oltre a lei e alla moglie Romilda, Silvio Dalbard lascia le figlie Milena - maestra elementare - e Tiziana - impiegata - e i tre nipoti Federico Recupero e Isabella ed Ilaria Pivot, che erano il suo orgoglio per essersi tutti e tre laureati con il massimo dei voti.