Sergio Mancini, medico stimato che fu il coraggioso partigiano “Ventisette”
Medico per vocazione, partigiano per scelta. Sergio Mancini era innamorato della vita: per lui un giorno senza un sorriso era un giorno sprecato. Aveva la battuta sempre pronta e riusciva a trasmettere il suo incrollabile ottimismo a tutti coloro che lo conoscevano. Nella sua mente, però, erano impressi in maniera indelebile i ricordi della Resistenza, quando appena 16enne era il partigiano “Ventisette” - come nome di battaglia aveva scelto il suo anno di nascita - che combatteva a Cogne.
Infatti Sergio Mancini era venuto alla luce il 5 febbraio 1927 a Modena, figlio unico di Amedeo, nativo di Cesena e militare di carriera - proveniente da una famiglia numerosa, uno dei fratelli era Urbano, classe 1912, comandante dei siluranti della Regia Aeronautica decorato della Medaglia d'oro alla memoria e della medaglia d’argento al Valor militare nella Seconda Guerra mondiale, a cui è intitolato l’aeroporto militare di Cervia -, e di Maria Schivardi. Il padre Amedeo, ufficiale del Quarto Alpini, argento al Valore nella Grande Guerra, prestò prima servizio a Bassano del Grappa per poi essere trasferito ad Aosta all’inizio degli anni Trenta, raggiungendo il grado di tenente colonnello nel Comando della Divisione Taurinense e venendo decorato con la medaglia di bronzo al colle del Piccolo San Bernardo nei primi giorni del secondo conflitto. Un tragico destino, però, lo attendeva: nel 1943 morì prematuramente durante il ricovero all’Ospedale militare di Milano. Rimasto orfano, Sergio Mancini, che frequentava il Liceo Classico, abbandonò gli studi dopo che qualcuno lo denunciò per le sue simpatie per la Resistenza e per questo motivo venne arrestato dai fascisti che lo tennero in carcere 2 giorni. Quando venne rilasciato, andò a lavorare alle miniere di Cogne. Qui entrò a far parte, nonostante la sua età che lo rendeva il partigiano più giovane della Valle d’Aosta, della formazione “Arturo Verraz” agli ordini di “Plik”, Giuseppe Cavagnet. Il 2 novembre del 1944 si rese protagonista di un fatto eroico. Quel giorno le truppe nazifasciste attaccarono a sorpresa la valle di Cogne. Lo scontro a fuoco durò oltre 5 ore e alla fine i nemici, benché numericamente superiori e meglio armati, si dovettero ritirarono. Questo perché il ponte di Chevril, minato proprio temendo un attacco, fu fatto saltare, con un'azione tanto tempestiva quanto temeraria proprio da Sergio Mancini e da Eduard Hirsberg, un sottufficiale tedesco passato con i partigiani.
Dopo la Liberazione, Sergio Mancini riprese gli studi e si laureò in Medicina nel 1951 all’Università di Torino conseguendo 2 specializzazioni: medicina interna e malattie polmonari. Così fino al 1961 lavorò al Centro antitubercolare di via Guido Rey per poi esercitare la libera professione nello studio di via Jean de la Pierre, attività proseguita fino 20 anni fa. Proprio la specializzazione in malattie polmonari lo rese molto popolare, visto che in quegli anni la malattia professionale più diffusa - specialmente tra gli operai della Cogne e tra chi lavorava nelle miniere di La Thuile e di Cogne - era la silicosi. Praticamente tutti, quindi, conoscevano il dottor Mancini per la bravura ma anche per la simpatia, dato che riusciva a strappare un sorriso a chiunque con le sue battute. Parallelamente, alle soddisfazioni come medico si unirono quelle familiari. Infatti dal matrimonio con Maria Teresa Spada, classe 1928, sposata l’8 settembre 1956, sono nati i figli Amedeo Manuel, il 6 dicembre 1959, noto medico ortopedico primario dell’Ospedale regionale, e Magnolia, il 9 marzo 1971, biologa anche lei all’“Umberto Parini”.
Grande appassionato di sci, Sergio Mancini ha mantenuto il suo carattere brillante con grande lucidità sino alla fine ed è mancato all’alba di martedì scorso, 14 ottobre. Aveva 94 anni e da una settimana si trovava ricoverato all’Ospedale Beauregard a causa del peggioramento delle condizioni di salute. Gli amici si sono stretti ai suoi cari mercoledì 15, per un ultimo semplice saluto al cimitero di Aosta. Poi il feretro del dottor Mancini è stato accompagnato al tempo crematorio scortato dalla bandiera tricolore dei partigiani dell’Anpi.