Se non si riducono le emissioni, gli alberi non bastano ad evitare i cambiamenti climatici
L’appuntamento annuale con Meteolab e Climalab al Forte di Bard (venerdì e sabao scorso, 10 e 11 novembre), coordinato scientificamente da Luca Mercalli e Roberto Louvin, si è tenuto alla presenza di oltre 200 persone, accolte dalla presidente dell'Associazione Forte di Bard, Ornella Badery. Il rapporto fra variazioni climatiche, bosco e legislazione ha impegnato studiosi di scienze ecologiche e giuristi, in un dialogo globale e regionale, con un intenso scambio informativo e collaborativo fra chi opera in difesa del patrimonio boschivo (Carabinieri Forestale e Corpo forestale valdostano), chi studia l’assorbimento di CO2 da parte delle foreste, chi misura le politiche climatiche globali, gli analisti del dissesto idrogeologico e delle avversità forestali (parassitarie e simili) e chi si occupa del telerilevamento delle foreste, con uno sguardo anche alle esperienze private (Oasi Zegna) e ai processi di Certificazione FSC (Forest Stewardship Council).
I giuristi hanno ritracciato l’evoluzione del diritto forestale, mettendo in luce le novità del nuovo quadro europeo e dell’evoluzione della legislazione nazionale (francese e italiana), evidenziando le potenzialità di un’eventuale legge forestale regionale di cui, a differenza di altre regioni, la Valle non si è ancora dotata.
C’è interesse a riordinare le procedure autorizzative per gli interventi selvicolturali, a regolare meglio i piani di assestamento, aggiornare le norme per la gestione dei boschi e l’esecuzione degli interventi selvicolturali, rafforzando, per una tutela ottimale e sostenibile, i requisiti professionali per una gestione sicura dei cantieri. Il contrasto al cambiamento climatico, la conservazione della biodiversità boschiva, l’equilibrio bosco-pascolo, le opere infrastrutturali di servizio e la prevenzione degli incendi si possono fondere in un armonico e moderno strumento normativo regionale.
«Dobbiamo misurare per conoscere e per gestire bene il bosco: è necessario lavorare tutti insieme e agire in fretta per il clima, rispettando i limiti fisici del Pianeta» ha concluso Luca Mercalli, presidente della Società Meteorologica Italiana.
Dalle relazioni presentate sono emersi dati di grande rilevanza. Dalle campagne di monitoraggio dei flussi di CO2 in foresta e prateria di Arpa Valle d’Aosta, illustrate da Marta Galvagno, risulta che gli ecosistemi naturali della regione, fungendo da «pozzi» di assorbimento del carbonio, riescono a stoccare a lungo termine il 50-60 per cento delle emissioni locali, situazione particolarmente fortunata essendo la Valle poco popolata, e caratterizzata da un’elevata copertura forestale (circa centomila ettari).
Ma nell’insieme d’Italia la situazione è meno favorevole. In media, un albero che cresce nei nostri climi riesce a stoccare circa 2 chilogrammi di CO2 all’anno, e i circa 20 miliardi di alberi italiani nel 2021 hanno immagazzinato 28 milioni di tonnellate di CO2, ovvero «solo» il 7 per cento delle emissioni totali nazionali (418 Mt di CO2 equivalente), come ha spiegato Giorgio Vacchiano dell'Università degli Studi di Milano.
Vi sono margini di miglioramento, grazie a piani di riforestazione e a un’adeguata gestione selvicolturale in grado di potenziare le capacità delle foreste di assorbire dall’atmosfera il carbonio in eccesso, e di stoccarlo a lungo termine nei tessuti legnosi e nei suoli.
Un esempio virtuoso proviene dall'Oasi Zegna in provincia di Biella, eredità di un lungimirante rimboschimento e di una valorizzazione territoriale risalente alla fine degli Anni Venti del Novecento, e oggi teatro di una rinnovata gestione che tiene conto delle nuove esigenze legate al clima in cambiamento e al potenziamento dei servizi ecosistemici del bosco.
Tuttavia sarà difficile andare molto oltre il 10-15 per cento di CO2 sequestrata a lungo termine a scala nazionale, se al tempo stesso non diminuirà massicciamente la produzione di gas climalteranti tramite una maggiore sobrietà nei consumi, alle fonti rinnovabili e all’efficienza energetica.
Peraltro, seppure in espansione, proprio a causa dei cambiamenti climatici le foreste italiane mostrano segni di sofferenza e deperimento (siccità, incendi, proliferazione di parassiti quali il bostrico dell’abete rosso a seguito della tempesta Vaia del 2018) che rischiano di ridurre la capacità degli ecosistemi di catturare CO2 dall’atmosfera.
Di primo piano è il ruolo degli alberi anche nell'attenuare alluvioni, piccole frane e colate di fango o detriti, tema trattato da Danilo Godone del CNR-IRPI di Torino/Geohazard Monitoring Group (mentre la copertura boschiva nulla può contro i movimenti franosi di grandi dimensioni, come le DGPV - Deformazioni Gravitative Profonde di Versante). Meritano salvaguardia le essenze ripariali (pioppi, salici, ontani) che punteggiano le sponde dei fiumi limitandone l’erosione, e talora oggetto di tagli indiscriminati e dannosi. Inoltre, «dragare» gli alvei - soluzione spesso invocata contro le alluvioni - è deleterio e da evitare, poiché innesca rovinosi processi erosivi a danno di argini, ponti, briglie e traverse collocate a monte, a causa della ricerca di un nuovo equilibrio da parte del sistema-fiume dopo l'intervento.
Le foreste sono dunque preziose alleate nel contrastare la crisi climatica e i dissesti geo-idrologici, ma c’è molto lavoro da fare per migliorarne la salute, e non possiamo illuderci che siano loro a risolverci il problema da sole, senza che noi facciamo la nostra parte riducendo le emissioni serra.