Saint-Bénin e Manzetti, prezioso scrigno di tanti ricordi di gioventù
Nell'arco di pochi giorni si è tornati a parlare del Saint-Bénin e del Manzetti per gli ambiziosi progetti di recupero. Sono 2 edifici e 2 scuole che nell'ultimo secolo hanno condiviso molto. L'ex Convento Saint-Bénin, poi convitto, ha ospitato studenti fin dal 1597, ma è subito dopo la seconda guerra mondiale, nell'anno scolastico 1946/47, che diventa la sede dell'Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri «Innocenzo Manzetti»: tanti sono i ricordi di studenti e insegnanti, legati all'ex priorato e al «nuovo» Manzetti sorto lì accanto, che sarà abbattuto e ricostruito. Ragionieri e geometri erano insieme al Saint-Bénin poi al Manzetti e infine separati nei 2 edifici.
Stanze piccole e l'avviamento
«Ho frequentato fino al quarto anno di ragioneria - racconta Anna Maria Bartoletti, classe 1924 - poi mi sono sposata e sono tornata più tardi a sostenere l'esame da privatista nel 1954. Dal cortile, si saliva al primo piano dalla scala subito a destra, a metà c'era la segreteria e poi le aule piccole, tanto che il mio banco era attaccato alla cattedra. Eravamo 3 classi, ricordo che c'era Giancarlo Deorsola, che aveva il panificio, poi Marica Quarello, Maria Laura Picchi, Gilda De Stefani, Elsa Ceccarelli che poi ha sposato Deorsola, perché sui banchi del Saint-Bénin sono anche nate storie d'amore». «Quando frequentavo, nel 1948 c'erano solo 3 classi di ragionieri e 3 di geometri - ricorda il profumiere Angelo Vallacqua, classe 1935 - e quando ero in terza c'è stato l'esame di Stato dei primi 22. Fu l'inizio di uno sviluppo perché prima chi voleva diplomarsi doveva andare a Biella o Torino, qui c'erano solo liceo e magistrali». Al piano terra, nelle stanze sul cortile, erano i corsi dell'avviamento, le «medie professionali» nelle quali i ragazzi imparavano il mestiere del fabbro e del falegname e le ragazze diventavano brave segretarie, nell'avviamento commerciale. «Il preside era l'ingegner Riccardo Piaggio, che veniva dalla Liguria. - continua Angelo Vallacqua - Non c'erano mense e all'intervallo veniva una donna a portare brioches e bomboloni che probabilmente preparava lei. Ricordo il segretario con le chiavi alla cintura, lo chiamavamo "Raffica" tanto era veloce. E poi il professor Nicolino Berthod di ragioneria, una pasta d'uomo e molto bravo nella disciplina. Il mio compagno di banco era Ermanno Saivetto, poi dirigente Stipel; c'erano Egidio Chioli, Aimé Chenal che ha scritto il dizionario di patois. Augusta Cerutti era appena laureata e ci insegnava geografia». «Quando ho iniziato nel 1955 - racconta Ettore Calchera - noi geometri in prima eravamo 14 e i ragionieri 26. L'assessore all'Istruzione Amato Berthet venne in visita e ci informò che iniziavano i lavori di costruzione del nuovo istituto in via Piave e entro un paio d'anni ci saremmo trasferiti. Nel nuovo istituto arrivammo per l'esame di Stato nel 1960. Ricordo la creazione del giornalino di istituto," Il Manzettino", chiuso dopo qualche anno perché forse avevamo esagerato sugli insegnanti». Tra questi ultimi ricorda ancora «la prof indimenticabile Ida Viglino» e il canonico Jean Domaine, che creò il primo coro scolastico.
Geometri e ragionieri
Nel nuovo edificio di via Festaz si spostano tutti ma ben presto, nell’anno scolastico 1969/70, i 2 indirizzi si separano: i ragionieri restano al «Manzetti» e i geometri tornano al Saint-Bénin. «Ricordo un collegio docenti lunghissimo. - racconta Laura Costa, che ha insegnato italiano e storia ai geometri dal 1963 al 1997 - Avevamo proposto tanti personaggi cui intitolare la scuola: avevo pensato ad Antonio Gramsci, ma decidemmo di non cadere nel discorso politico. La mia collega di francese Dede Cognein propose Jules Brocherel e così fu». Nel 1963 era preside Augusta Cerutti, poi fu la volta di Gianna Bonis: «Anche se avrei potuto insegnare alle magistrali, ho sempre preferito i geometri. - continua Laura Costa - Erano vivacissimi, belle intelligenze, con me buoni come educande: alcuni sono diventati insegnanti di lettere come Viviana Casali e Maurizio Bal. Siamo partiti con 2 sezioni e quando negli anni Ottanta ci siamo spostati in via Chambéry si arrivava alla lettera G. Il Saint-Bénin cadeva a pezzi, avevamo manifestato tante volte, ma era così poetico, con il suo cortile con i pioppi, la chiesa sconsacrata e adattata a palestra. Tra i colleghi ricordo i fratelli Capra, Roberto detto Cilin e Umberto detto Nino». «Laura Costa era un'insegnante bravissima - ricorda Claudio Castiglion, che si è diplomato geometra nel 1969, quando c'era una sola quinta - ti coinvolgeva, ti dispiaceva quando andava via, ma se a lezione cadeva una matita ti fulminava. Il nostro professore di geografia era Oddone Bongiovanni: gli dispiaceva che qualcuno restasse indietro e così faceva lezione gratis al pomeriggio dicendo "basta che veniate". La nostra preside Gianna Bonis era severa, ma come lo erano i professori di una volta, ci tenevano che i ragazzi studiassero. Poi avevamo don Luigi Garino di religione, Anselmo Pession di ginnastica, Vittorio Bubi Marcoz di diritto, e scherzavamo "nulla può andargli storto". C'era il campionato studentesco di pallavolo, nella vecchia palestra Coni dove, incitati dai campanacci, ma senza parolacce, si sfidavano geometri, ragionieri e liceali». Quando iniziarono le proteste del 1968-1969, «Noi geometri abbiamo occupato il liceo - continua Claudio Castiglion - passando da un edificio all'altro. Tra geometri e ragionieri c'era rivalità, ma le ragazze di ragioneria potevano salire al nostro piano, per gli altri la zona di quarta e quinta era vietata. Però avevamo creato un gruppo musicale, "Les vagues", e con Pietro Zocca e Joe Brazzale si suonava alle feste studentesche al Dancing Mont Blanc in corso Battaglione Aosta». Tanti sono gli epidodi all'insegna della goliardia: «Ricordo le battaglie verbali durante le ricreazioni - dice Mauro Gelmini, geometra ora dell'Arer - tra noi geometri in cortile e il liceo scientifico alle finestre, mentre i due presidi Oddone Bongiovanni e Carla Netto cercavano di tenerci a bada». Oddone Bongiovanni è instancabile e attento, insegnante di topografia e poi preside, prima di diventare anche sindaco di Aosta: «Era un grande professore. - racconta il sindaco di Valsavarenche Pino Dupont, che oggi ha 70 anni - Diceva sempre "Il 6 è come un pezzo di pane, non si nega a nessuno. L'abilità del professore è fare studiare gli studenti". Eravamo pochi e ci si conosceva un po' tutti, molti geometri hanno tenuto in piedi la Valle d'Aosta, come Ilario Lanivi che è stato presidente della Regione o Giuseppe Borbey che è stato assessore ai Lavori pubblici». «Ricordo mio papà quando era già preside. - racconta Sergio Bongiovanni, oggi architetto a Torino - La presidenza era sopra l'ingresso, da lì controllava che tutti fossero puntuali alle 8: i ritardatari dovevano giustificarsi con lui. Dalle finestre dello Scientifico guardavamo con grande invidia i geometri che potevano passare l'intervallo in cortile e uscivano per fare i primi rilievi. L'istituto per geometri era davvero un meccanismo di inserimento forte nel mondo del lavoro, gli insegnanti tecnici erano quasi tutti liberi professionisti, che insegnavano al mattino e al pomeriggio lavoravano in studio, spesso erano ingegneri e architetti che stavano costruendo Aosta. Anche quando divenne sindaco di Aosta nel 1975, pur avendo diritto al distacco totale dalla scuola, mio padre Oddone non volle lasciare, perché riteneva la politica non un lavoro ma un servizio. In quegli anni i suoi colleghi erano Franca Porzio Borio, preside del Manzetti e poi del Liceo classico, Dino Viérin, preside del Manzetti, Carla Netto preside dello Scientifico». Non mancano gli episodi goliardici: «Durante un fine settimana, era la metà degli anni Settanta - ricorda - i cassetti dei professori furono aperti e i registri strappati. Tutti i docenti furono convocati per ricomporre il puzzle e ricordo che ero andato anche io a vedere, ma per me che avevo 10 anni era un gioco».
«Ho iniziato a studiare al Saint-Bénin nel 1974, - racconta Ettore Lavy del Collegio dei Geometri di Aosta - si parlava di un nuovo istituto, eravamo 5 sezioni fino alla E. Aspettavamo il suono della campanella sulle scale degli uffici Enel ma il preside Bongiovanni attendeva i ritardatari dietro le colonne. Erano gli anni dell'occupazione del Liceo, si protestava per avere consigli di classe e di istituto, pensavamo di fare grandi cose. Ricordo le ore di “ginnastica” nella chiesa sconsacrata, avevamo ottenuto anche le docce, e le aule al piano terra avevano la volta di pietra. Andavamo al Bar Papà Marcel, famoso per i panini, oppure nella sala biliardo al Villettaz. All'epoca avevamo professori molto giovani, qualcuno è diventato assessore come Claudio Lavoyer, altri si stavano laureando. L'ingegnere Massimo Centelleghe insegnava costruzioni e topografia. Tra i compagni c'era Maurizio Billo, oggi ingegnere, Enzino Calì, l'unica ragazza arrivata in quinta Luciana Sage. Era un lavoro prettamente maschile, oggi invece abbiamo parecchie colleghe». Tra le goliardate, lo stivaletto nascosto ad un compagno, costretto a tornare nella neve con le scarpette da ginnastica, o anche i nomi cambiati sul registro, che avevano fatto arrabbiare il preside e richiesto l'intercessione dei professori, per non rischiare la bocciatura. «Mi sono diplomato nel 1984. - racconta Rémy Vautherin, presidente del Collegio aostano - Poi i geometri si sono spostati in via Chambéry. Il fatto di essere in un complesso religioso era cosa strana, la palestra era la chiesa: ricordo il muro che divideva dall'altare e un angioletto era rimasto con la testa di qua e il corpo di là. Andavamo in cantoria a giocare a belote, perché dietro il divisorio in boiserie c'era un tavolo. A ricreazione si stava nel prato con ogni tempo, tutte le prime e le seconde al piano terra aprivano sul cortile, sopra il corridoio, con terze, quarte e quinte. Ti vestivi e andavi di corsa, anche per il bagno che dava anch'esso sul cortile. Il preside Oddone Bongiovanni era severo ma si ricordava di tutti, non faceva mai il processo alle intenzioni, non escludeva a priori nessuno e a volte lo facevamo ridere, come quell'inverno in cui portammo in classe, al pomeriggio, un albero di Natale vero. Quando dovevamo andare a prendere le copie eliografiche da Bérard, con una scusa si deviava da Papà Marcel o nel sotterraneo del Deorsola, e si andava a fare pratica con gli strumenti, a Tzamberlet quando non c'era ancora il campo da rugby, erano momenti di evasione. Si diventava quasi fratelli».