Romano Prodi, Pascal Lamy e Michel Barnier «L’Europa davanti agli errori del passato»

Romano Prodi, Pascal Lamy e Michel Barnier «L’Europa davanti agli errori del passato»
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Nella prima giornata del Grand Continent Summit - lunedì scorso, 18 dicembre - le discussioni sul futuro dell’Europa sono partite da un’analisi critica del passato recente, necessaria a cogliere le mancanze dell’Unione e tracciare il suo corso nella nuova fase della globalizzazione. Hanno partecipato alla discussione Romano Prodi, Michel Barnier ex ministro francese, ex commissario europeo e negoziatore europeo per la Brexit, Pascal Lamy ex commissario europeo ed ex direttore generale dell’OMC; Anu Bradford professoressa di diritto alla Columbia University e Lea Ypi filosofa e autrice albanese. Romano Prodi ha voluto cominciare dalla sua esperienza alla Commissione: «Sono stato Presidente durante una situazione straordinaria, dal 1999 al 2004. La fine di tutto è stata il voto francese del 2005 sulla Costituzione europea: si è trattato di un messaggio politico forte. Avevamo lavorato per anni per cercare di smussare gli angoli ma il referendum è stato per me una doccia fredda, un segnale di stop.

Siamo in un momento difficile perché la gente ama l'Europa quando l'Europa fa qualcosa di forte. Quando si è discusso dell'euro non tutti erano d’accordo, ma c’era l'impressione che l'Europa contasse. Con l'assetto istituzionale che abbiamo attualmente, non c'è alcun modo di farlo, e i cittadini si stancano. L’Europa è un buon pane, ma è cotto a metà, e il pane mezzo cotto è orribile.

Abbiamo bisogno di una politica estera, di una politica militare e poi di una politica industriale. È mai possibile che la Turchia stesse mediando in qualche modo nella guerra in Ucraina e l'Europa non l'ha mai fatto? Guardiamo alla Libia: è vicina alle nostre coste ma il potere è condiviso dalla Russia, che vale l'80 per cento del PIL italiano, e dalla Turchia che vale l'80 per cento del PIL spagnolo. Abbiamo bisogno di un cambiamento politico, e questo è nelle mani della Francia.»

Lea Ypi ha poi riflettuto sull’allargamento, un tema centrale della commissione Prodi ridivenuto attuale: «Cos’è l’allargamento? Uno strumento discorsivo per sostenere una certa tesi e persuadere il pubblico di quella tesi o una vera e propria adesione all’UE con tutti i benefici e gli oneri annessi? Credo di essere un po' scettica su questo secondo senso. Ma credo che, dal punto di vista ideologico, la prospettiva dell'allargamento svolga un ruolo importante. Mantiene vivo il tema nei Balcani e aiuta le persone del luogo a ritrovare un po' di speranza in un progetto che è rimasto fermo a lungo. Ma se si intende l’allargamento come la realtà dell’allargamento, questo ha necessariamente bisogno di campioni politici, che ora non ha e per recuperarli è necessario un buon grado di autocritica.»

Michel Barnier ha invece ribadito cosa la Brexit abbia insegnato all’Unione.

«Quando ho saputo che avrei partecipato a una discussione con Prodi e Lamy, ho ricordato quando sedevamo allo stesso tavolo della Commissione europea. È stato un privilegio far parte di quella commissione: sarebbe utile tornare a quello stato d'animo nel prossimo futuro che si preannuncia pericoloso e turbolento.

Per mantenere l’unità dei 27 abbiamo bisogno di sostegno e fiducia: ora che la Brexit è alle spalle, alcune lezioni da imparare sono rimaste. La Brexit ha rappresentato un fallimento dell'Unione: dobbiamo imparare dai nostri errori cambiare il nostro approccio. Bisogna capire perché gruppi di élite sovraniste e nostalgiche, sono state in grado di sfruttare la rabbia sociale. È fondamentale riconoscere che questa rabbia esiste: questo sentimento popolare non è populismo. Raccomando di ascoltare, capire e rispondere per dimostrare di nuovo perché dobbiamo stare insieme in Europa. Se dovessi trovare qualcosa che non sia solo una frase ad effetto, sarebbe "make proof of Europe again".

Questo si è forse visto più recentemente. Sulla scia della crisi del Covid, gli europei hanno deciso di indebitarsi in modo comune per investire insieme. Pur essendo francese, non sono un protezionista: la vera protezione sta nel prendere in prestito e investire collettivamente nel futuro. D’altronde, ciò che ci fa guadagnare il rispetto dei russi, dei cinesi e degli americani è innanzitutto il mercato unico: è il nostro principale punto di forza ed è essenziale rafforzarlo.»

Anu Bradford ha commentato questa rinnovata volontà di politiche industriale a livello europeo: «Dobbiamo notare che c'è un ampio malcontento nei confronti del neoliberismo. Penso che abbiamo superato l'era neoliberista e abbiamo accettato di avere meno fiducia nei mercati in quanto tali e che lo Stato debba intervenire per difendere i diritti e tenere a freno le grandi aziende e il loro potere.

Ora questa logica è rafforzata da questa nuova narrativa strategica e dal paradigma della sicurezza economica: ciò ha davvero portato la politica industriale al centro del dibattito. Le istituzioni internazionali, compresa l'OMC, purtroppo sono sempre più disfunzionali.

Non c'è da stupirsi che gli europei siano molto concentrati sull'autonomia strategica. E la politica industriale è spesso apparsa uno strumento. Ma sono piuttosto scettica: in questa corsa ai sussidi, mi spiace dirlo, ma penso che finiremo prima i soldi. Non riusciremo a battere i cinesi. Questo è il loro territorio. Stiamo facendo il gioco di Pechino, e loro lo fanno meglio di noi.»

Pascal Lamy, commissario europeo per il Commercio dal 1999 al 2005, ha contestualizzato le sue analisi nell’attuale quadro della globalizzazione: «Sono rimasto sufficientemente marxista da credere che la deglobalizzazione non avverrà: è il risultato di forze che non si ritireranno, siano esse la tecnologia o il capitalismo di mercato. Da persona che analizza le cifre, noto un divario significativo tra la retorica della deglobalizzazione, del disaccoppiamento, del de-risking, e la realtà effettiva. Il volume del commercio mondiale non è mai stato così alto: non è questo il problema. Se beneficiamo del commercio internazionale e di un'efficiente divisione del lavoro con i partner non ci interesserà molto se siamo dipendenti o meno. Al contrario, ci rallegreremo dei benefici che Ricardo e Schumpeter attribuiscono al commercio internazionale. Bisogna, però, ovviamente interrogarsi su quale sia il costo della dipendenza così come il costo dell'indipendenza. È essenziale valutare i rischi associati a certe dipendenze e il costo per mitigarli. Questo costo si ripercuoterà soprattutto sui consumatori, con un conseguente abbassamento del nostro tenore di vita e minore sviluppo globale.»

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