Romano Faccenda, alpino dal grande cuore d’oro e centrocampista roccioso della mitica Anpi Elter
Aosta - Tanti alpini, gagliardetti, compagni di squadra, calciatori della gloriosa Anpi Elter, vicini di casa, amici. Nella chiesa di Santo Stefano ad Aosta erano veramente molti - nel pomeriggio di lunedì scorso, 14 agosto - accanto a Maria Actis-Giorgio, da cinquantotto anni sposa adorata, per salutare Romano Faccenda, una delle ultime memorie storiche del Gruppo Alpini Aosta, scomparso ottantaquattrenne domenica nella casa di riposo J.B. Festaz.
I bollini sulla vecchia tessera delle penne nere non trovavano più spazio ma non aveva mai voluto sostituirla. Quella foto con il cappello del 1° RC gli ricordava la sua naja, le sue amicizie, la spensieratezza di una gioventù che il mondo del lavoro avrebbe poi lentamente affievolito. Prima le Officine Siggia, poi altre imprese nelle quali avrebbe imparato il mestiere per diventare un bravo ed apprezzato artigiano del ferro. Faceva parte da molti anni del consiglio direttivo del Gruppo Aosta ed ogni sabato, giorno di riunione, era sempre prodigo di consigli e di suggerimenti, soprattutto quando si trattava di aiutare qualcuno in difficoltà. La malattia non aveva frenato il suo entusiasmo e, nei primi giorni della guerra in Ucraina, aveva messo a disposizione due grandi borse di indumenti da consegnare ai bimbi e agli anziani. Misurato nel parlare, sobrio nel vestire, era sempre presente alle Adunate e, dove c’erano simpatia e canzoni allegre, Romano Faccenda non mancava mai.
Nell’ottobre del 2016, durante la premiazione del “Trofeo Zanchetta” di bocce, gli era stato consegnato un premio speciale, perché protagonista di un gesto di grande solidarietà alpina: durante il Raduno Intersezionale a Susa, Romano Faccenda aveva declinato l’invito a reggere lo striscione del Gruppo durante la sfilata per restare accanto ed accompagnare l’amico Mimmo Galizzi, già Alfiere dell’Aosta. Un gesto molto apprezzato anche dal presidente nazionale Ana, Sebastiano Favero, che aveva applaudito il passaggio dei due «ragazzi» davanti al Labaro d’Onore.
Prima di recitare la Preghiera dell’Alpino il capogruppo di Aosta, Carlo Gobbo, ha voluto ricordare anche un altro aspetto di Romano Faccenda, legato al periodo in bianco e nero in cui la città di Aosta - negli anni Cinquanta e Sessanta - pulsava di una vita speciale nel Quartiere Cogne.
Il padre Arrigo aveva lasciato la natia Ferrara (come l’amico Vittorio Padovani), per trasferirsi nel capoluogo regionale, attratto dalle possibilità di lavoro che la Cogne offriva. Nel quartiere dove si affacciavano le Case Filippine e Stura, Romano Faccenda era uno dei numerosi ragazzi che non vedevano l’ora di scendere in cortile e correre dietro a un pallone, sbucciandosi spalle e ginocchia, per inseguire sogni e desideri. La sua prima squadra fu quella della Cogne però papà Arrigo, che era un dirigente della Giorgio Elter, lo portò in questa gloriosa e mitica società, dove crebbe accanto a quelli che sarebbero poi diventati amici di tutta una vita: Fortunato “Nato” Fristachi e Silvano “Cicca” Manazzale.
Le vicende calcistiche di Romano Faccenda, mediano roccioso e talentuoso, maglia numero 5 e capitano della squadra, furono ricche di soddisfazioni. A centrocampo, accanto al giovane Marino Guglielminotti, maglia 4, era difficile penetrare. I successi in campionato non mancarono e la squadra, diventata poi Anpi Elter, quando si giocava sul terreno del Guido Saba, era avversaria ostica da superare.
Poi l’infortunio serio che pose fine alla sua carriera da giocatore. Sul campo di Plan Felinaz, contro il Castellamonte, su di un pallone spiovente da calcio d’angolo, un attaccante ospite, in rovesciata, colpì il volto di Romano Faccenda. Frattura del setto nasale e serio interessamento delle vie lacrimali all’occhio sinistro. Da quel giorno il pallone andò in soffitta, ma non la passione per lo sport che diventava il collante di interminabili discussioni, seduti attorno ad un tavolo di Papà Marcel in Croix de Ville, tra quegli amici che lunedì si sono ritrovati in quel mondo dove sofferenze ed angosce hanno lasciato il posto alla serenità del ricordo.