Rinaldo Carrel, la montagna nel destino di una famiglia cresciuta con Guido Monzino

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Dal Polo Nord all’Everest. Di anni ne sono trascorsi, ma è così affascinante ascoltare i racconti di uno dei protagonisti delle due imprese, organizzate da Guido Monzino, che hanno visto, nel 1971, i primi italiani superare il 90° Parallelo in una spedizione lunga settecentocinquanta chilometri con cani da slitta e metodi tradizionali, e, nel 1973, salire l’Everest e piantare in vetta il tricolore.

Ora, la curiosità di chi legge è sicuramente quella di voler sapere chi erano i due valdostani che hanno messo la propria firma nella storia delle esplorazioni mondiali e che con Guido Monzino hanno anche partecipato ad altre spedizioni in giro per il mondo, dalle Alpi, alle Ande, in Africa e sull’Hymalaia. Stiamo parlando di Mirko Minuzzo e di Rinaldo Carrel. Classe 1947, Minuzzo se n’è andato nel mese di gennaio del 2004 dopo tre anni di cure per una grave infezione in seguito a un incidente stradale nel 2001. Guido Monzino, nato nel 1928, era scomparso nel 1988. È, quindi, a Rinaldo Carrel classe 1952 che dedichiamo la pagina Gente di Montagna, per ripercorrere insieme tutte quelle avventure, che solo lui oggi può ricordare avendovi preso parte.

“Quando ero molto piccolo, già sognavo di vivere grandi avventure per il mondo - evidenzia Rinaldo Carrel nell’intervista fatta tra le mura di casa a Valtournenche, dove vive con la moglie Augusta Tamone anche lei di Valtournenche, sposata nel 1976, genitori di due figli, Enrienne e Roland, e nonni di Gil e Jacques - perché già all’epoca Guido Monzino frequentava la mia casa, la nostra famiglia ed era molto amico di mio papà Marcello che era già una guida alpina. Il mio destino di fatto era segnato. Non avrei potuto fare altro: con mio padre che è stato il mio primo e vero maestro e con Guido Monzino mi si è aperto il mondo e per il mondo ho viaggiato alla scoperta di nuovi orizzonti.”

Il racconto di vita di Rinaldo Carrel si fa interessante e intrigante, parola dopo parola. Tuttavia per arrivare a raccontare delle grandi spedizioni alle quali ha preso parte, bisogna fare diversi passi indietro nella sua vita. Perché la storia di famiglia inizia nel 1806 con la nascita a Valtournenche del suo avo Jean Jacques Carrel, capostipite di generazioni di alpinisti, detto “Il cacciatore”, esperto bracconiere e contrabbandiere che conosceva ogni angolo della sua vallata. Fu proprio “Il cacciatore” ad essere ingaggiato nel 1860 come portatore da due inglesi, Edward Hawkins e John Tyndall, i primi che cercarono di salire il Cervino.

Jean Jacques Carrel fu lo zio di Jean Antoine Carrel (nato nel 1829 nel piccolo villaggio di Avouil), diventato per tutti “Il bersagliere”, colui che insieme al cugino Cesar (che era figlio di Jean Jacques, quindi bisnonno di Rinaldo Carrel) tentò più volte la vetta del Cervino e per primo la raggiunse, nel luglio 1865, dal versante italiano.

Rinaldo Carrel - che tra il 1968 e il 1991, vanta al suo attivo esplorazioni e viaggi ricognitivi in Groenlandia, Africa, India, Sud America e nelle regioni dell’Himalaya -viene al mondo il 3 gennaio 1952 da mamma Secondina Pession e dalla guida alpina Marcello Carrel, il cui padre (quindi nonno di Rinaldo) portava il nome dell’avo Jean Jacques

Marcello Carrel e Secondina Pession, entrambi di Valtournenche, si conoscono da sempre, si sposano ai piedi del Cervino e mettono su famiglia con l’arrivo nel 1941 di Giovanni (anche lui diventato guida alpina) ed Ettore; Rinaldo è il terzo figlio. Quella di Rinaldo è stata, dunque, un’infanzia all’insegna dell’alpinismo vissuto attraverso le gesta del padre ed i ricordi dei suoi antenati. Non poteva, anche lui, che ripercorrere tali passi.

“Ricordo i miei anni da bambino con grande piacere - racconta Rinaldo Carrel - perché rammento quando nella segheria accanto alla casa dove sono nato, durante l’inverno, mio padre Marcello tagliava i tronchi di legno per trasformarli in assi, mentre nel periodo estivo faceva la guida. Sono sempre vissuto tra il profumo del legno e il calore della stufa. Una delle cose che più ricordo di quando ero bambino è che in casa avevamo il riscaldamento con la segatura che bruciava in una stufa apposita e non ho mai patito il freddo. La cosa più bella era vedere il gelo che si formava sulle finestre e al mattino, quando mi svegliavo, osservavo i vetri ‘damascati’ dai disegni dei cristalli di ghiaccio. Li guardavo affascinato e mi chiedevo come potesse la natura regalare simili immagini che di li a poco si sarebbero sciolte.”

Rinaldo Carrel frequentò l’asilo e le scuole elementari a Valtournenche. Poi, come molti suoi compagni di scuola, scese ad Aosta per le scuole medie, vivendo al convitto regionale “Federico Chabod” vicino alla stazione.

“Di allora - prosegue Rinaldo Carrel - ricordo la profonda amicizia che mi legava a Saverio Favre, poi diventato il direttore del Brel, il Bureau régional ethnologie et linguistique. Ho poi studiato fino al terzo anno di geometri in un collegio a Vercelli, tristissimo e da dove sono scappato un paio di volte. Quella fu sicuramente la prima delusione che diedi a mio padre. Fu lui a dirmi che dovevo allora andare a lavorare, ma volle innanzitutto che io andassi a lezione di lingua inglese. Di giorno ero occupato agli impianti di risalita, di sera andavo ad imparare l’inglese da Lea Meynet. Mio padre aveva conosciuto Guido Monzino nel 1956 durante la prima spedizione delle Grandes Murailles fino al Monte Rosa. Poi sono stati insieme in Sud America, in Patagonia nel 1957, e in Himalaya nel Karakorum nel 1959. Nelle sue altre spedizioni in Groenlandia, in Africa, in Asia, Monzino che da sempre frequentava casa nostra, voleva con se le guide valdostane e con lui mio padre Marcello c’era sempre, insieme a Pierino Pession e a Jean Bich. Anche mio fratello Giovanni è stato in spedizione con Monzino e nostro padre. Io sono quindi vissuto sin da molto piccolo a pane, montagne e spedizioni esplorative. Le mie esplorazioni con Monzino sono iniziate così!”

Rinaldo Carrel avrebbe dovuto partire nel 1971 per il servizio militare, ma dovette rimandare al 1973, perché nel 1971 si trovava al Polo Nord dove con tutta la spedizione guidata da Monzino rimase per ben sei mesi. Già nel 1968 il giovane Carrel partecipò alla spedizione di Monzino al Circolo polare artico, in quello che fu un viaggio preparatorio per il Polo e al quale fecero seguito altre spedizioni appositamente finalizzate, prima dell’attacco finale al 90° Parallelo. Alla spedizione preparatoria del 1968 verso il Polo Nord presero parte anche le guide alpine valdostane Antonio Carrel, Giuseppe Hérin, Attilio Ollier, Jean Ottin, Pierino Pession oltre a Ferruccio Pession che però scelse di non diventare guida.

“Ancora oggi - spiega con emozione Rinaldo Carrel - ricordo che con un peschereccio groelandese facemmo tutta la costa orientale della Groenlandia. Doveva servire come viaggio di preparazione per le spedizioni invernali con cani e slitte, per prendere accordi con la popolazione locale degli inuit e procedere alla preparazione delle spedizioni polari. Monzino conosceva quel luogo così estremo della Terra dove aveva già fatto alcune spedizioni alpinistiche. A Kranak, ultimo villaggio inuit a nord della Groenlandia, restammo un paio di mesi, tra gennaio e febbraio, e lì montammo le slitte. Bisognava anche prendere confidenza con i cani, con la popolazione locale e con il loro sistema di vita. Bisognava entrare in sintonia con gli inuit che ci avrebbero poi accompagnato nella vera propria spedizione per la conquista del Polo con le slitte trainate dai cani. Fu un’avventura unica, impossibile da dimenticare e difficile da trasmettere a parole. Quella fu un’esperienza di preparazione fonte di grande arricchimento per quel viaggio che doveva ancora iniziare. Le donne qânâq confezionarono per noi tutti i vestiti su misura. E noi tutti passavamo molto tempo a osservare e studiare le carte geografiche nautiche. Poi finalmente arrivò il grande momento.”

La spedizione di Guido Monzino fu ostacolata dai danesi che tentarono, grazie anche ad articoli apparsi sui giornali locali dell’epoca, di sottrarre la paternità italiana dell’impresa.

Il “viaggio” verso il Polo Nord iniziò il 23 gennaio 1971. Mercoledì 19 maggio la bandiera italiana fu issata ai novanta gradi di latitudine Nord della Terra. Poi il viaggio fu tutto a ritroso. Le parole di Rinaldo Carrel emozionano. “Una volta raggiunta la base di Cape Columbia abbiamo atteso il mese di aprile per vedere finalmente spuntare il sole, per passare dalla notte alla luce che sarebbe durata per alcuni mesi e per vivere l’emozione continua delle aurore boreali. Tutto era pronto. Dovevamo solo partire con i nostri trecento cani da slitta. Gli unici europei della spedizione eravamo io, Guido Monzino, Mirko Minuzzo, Arturo Aranda, il navigatore terrestre e il radiotelegrafista danesi. Arrivammo al Polo con meno cani e meno inuit di quando siamo partiti: infatti molti di essi, durante la marcia, quando ancora eravamo vicino alla costa, decisero di tornare indietro. La gioia fu immensa quando riuscimmo finalmente a piazzare al Polo la nostra bandiera. La precisione della nostra posizione fu data dal sorvolo dell’aereo, un quadrimotore, che confermò la nostra posizione, ufficializzò e certificò l’impresa. Il ritorno alla base fu un’altra avventura: come all’andata, anche durante il rientro sembrava di camminare sul ‘tapis roulant’ con le correnti marine che spostavano il ghiaccio quando si spaccava. Sembrava di camminare in un terremoto continuo, perché lo sentivamo rompersi e vedevamo dei canali aprirsi all’improvviso; bisognava stare attenti che il gruppo, uomini, cani e slitte fosse sempre compatto. Tante difficoltà e molte tensioni. Ma arrivammo fino in fondo, grazie proprio a Monzino, di cui ancora oggi conservo l’immagine di uomo leader, sensibile e nello stesso tempo deciso. Un vero mecenate che faceva le cose senza voler ottenere nulla in cambio. Ed è grazie al sangue alpinistico che scorre nelle mie vene da sempre, agli insegnamenti di mio padre Marcello e a Guido Monzino che mi ha sempre voluto con lui, che anche io sono diventato un alpinista esploratore. Un lavoro, per me unico ed affascinante che non avrei mai potuto cambiare con altro.”

Grazie a Guido Monzino, Rinaldo Carrel, diventato guida alpina nel 1973 e maestro di sci nel 1974, partecipò pure alla prima spedizione italiana che nel 1973 conquistò gli 8.848 metri dell’Everest e di cui faceva parte anche l'allora capitano degli alpini Roberto Stella. Anche in questo caso era maggio, Sabato 5 quando il tricolore, portato lassù dalla prima cordata composta da Mirco Minuzzo e dallo sherpa Lhakpa Tenzing e quasi in contemporanea dalla seconda cordata di Rinaldo Carrel e Shambu Tamang, sventolò per la prima volta in cima alla montagna più alta della Terra. La mattina di lunedì 7 raggiunsero la vetta anche Claudio Benedetti, Virginio Epis e Fabrizio Innamorati e Sonam Gyaljien. Per questa spedizione fu messa in campo una “task force” senza precedenti, almeno per quanto riguardava l’Italia, fatta di uomini, quasi tutti militari, medici, elicotteri, materiali e super equipaggiamenti. Rinaldo Carrel e Mirko Minuzzo (sergente degli alpini, assistente capo spedizione) furono scelti proprio dal capo spedizione Guido Monzino per l’attacco finale alla vetta del Tetto del Mondo. Rinaldo Carrel fu tra i più giovani conquistatori della montagna, vent’anni dopo la scalata vittoriosa (era il 29 maggio 1953) del neozelandese Edmund Hillary e dello sherpa Tenzing Norgay.

“Per la spedizione all’Everest - dice Rinaldo Carrel, allora alpino della Scuola militare, anche lui assistente capo spedizione - Guido Monzino aveva il permesso per accedervi e per questo prese contatti con l’Esercito in quanto rappresentanza dell’italianità. Ci furono molte polemiche a livello internazionale per l’uso degli elicotteri. Per l’Esercito italiano volare a quelle quote nell’Himalaya fu un’esperienza importante sia sotto il profilo di volo sia sotto il profilo tecnico. Non portammo la gli elicotteri per andare in vetta. Invece, furono utilizzati in zona anche per fare dei soccorsi. Peraltro uno dei due elicotteri, perdendo quota impattò sul ghiacciaio, si salvarono i piloti. E la spedizione proseguì. L’alba del 5 maggio ci vide pronti per l’attacco alla vetta. Affondavamo continuamente nella neve. Ma io, Mirko e i due sherpa affrontammo tutte le difficoltà che incontravamo durante la salita, lentamente, con le maschere dell’ossigeno. Sapevamo di potercela fare. Volevamo farcela. La bandiera era nelle nostre mani e dovevamo portarla in alto lassù. Fu uno spettacolo affascinante, indimenticabile, tanto quanto indimenticabile resterà essere arrivati due anni prima al Polo Nord! Ora potrei dire che mi manca solo l’Antartide. Un sogno nel cassetto che forse resterà tale. O forse no!”

Rinaldo Carrel, è stato membro fondatore e direttore della Scuola di sci di Valtournenche, presidente nella seconda metà degli anni Ottanta, e prima ancora vice presidente, della Società guide del Cervino, ha ricevuto negli anni diversi riconoscimenti per il suo impegno a favore dell’alpinismo internazionale tra cui la nomina, nel 1974, a cavaliere della Corona d’Italia da Re Umberto II di Savoia a Cascais in Portogallo, la medaglia d‘oro del Presidente della Repubblica nel 1971 e il titolo di commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana nel 1973. Dal 2016 Rinaldo Carrel è diventato Chevalier de l’Autonomie.

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