Riccardo Borney, il guardaparco con la passione per le moto d’epoca
Il giubbotto di pelle nera e un fazzoletto rosso al collo: Riccardo Borney, una volta smessa la divisa da guardaparco, aveva vissuto una seconda giovinezza in sella alla Triumph 350 del 1938 che era appartenuta alla sua famiglia e che aveva rimesso in strada. Moto d’epoca, pilota d’epoca: Riccardo Borney - scomparso ieri, venerdì 22, nella sua casa di Chateau Feuillet a Saint-Pierre - sembrava appartenere davvero a un altro tempo. Per più di trent’anni aveva trascorso giornate e nottate intere sulle montagne del Gran Paradiso, imparato a conoscere la natura in tutti i suoi aspetti e capito sulla sua pelle cos’era la solitudine. Così, una volta congedatosi, aveva voluto riconquistare il tempo perduto. Con la moglie Giulia Charbonnier ha frequentato tanti raduni per i mezzi d’epoca, sfoggiando i colori rosso e nero della sua “mise” che facevano il paio con quelli della Triumph. Ha partecipato a tante iniziative del Cameva, il Club Auto e Moto d'Epoca della Valle d'Aosta, e con un ristretto gruppo di amici era andato a conoscere altre montagne lontane da quelle che aveva amato sin da quando era bambino.
Nato a Aymavilles il 24 novembre del 1939, Riccardo Borney era cresciuto nel villaggio di Pondel, un pugno di casa all’imbocco della valle di Cogne, dove nei difficili anni del dopoguerra il bracconaggio era una pratica molto diffusa. In quell’infanzia felice e spensierata imparò i segreti di quello che sarebbe stato il suo mestiere: dopo alcuni anni da operaio in imprese edili, nel 1963 entrò a far parte del Corpo di Sorveglianza del Parco del Gran Paradiso. Lasciò Pondel per trasferirsi in valle di Rhêmes, un luogo che gli rimase sempre nel cuore. Il suo mestiere lo portò successivamente a Cogne e poi nelle vallate dell’Orco e di Soana: a Noasca diventò caposervizio e con quei galloni tornò a Rhêmes nel 1981. Qualche anno più tardi fu nominato coordinatore di tutti i capiservizio dell’Ente Parco e, più tardi, avrebbe compiuto l’ultimo passo nella scala gerarchica, ovvero diventarne ispettore. Capo delle guardie di fatto ma non sulla carta, visto che la sua nomina non fu mai ratificata dall’Ente: per poco meno di dieci anni Riccardo Borney fu quindi l’ispettore “facente funzioni” del Parco.
Uomo dal carattere deciso, aveva una capacità dialettica fuori dall’ordinario. Sapeva farsi voler bene e nella sua lunga carriera era riuscito a tessere rapporti con tante personalità. Una su tutti Rosy Bindi, leader politica appassionata di montagna e che lui spesso accompagnava nelle sue passeggiate in Valle d’Aosta. C’era lui, il 17 agosto del 1997, a Les Maisonnettes di Introd - non lontano dal Petit Mont Blanc - quando l’allora Ministro della Sanità cadde e si procurò una lussazione della spalla destra con frattura dell'omero. I due si telefonavano ancora di recente e a tanti anni di distanza da quell’episodio parlavano di quell’episodio e di tante altre giornate in montagna. Tra le sue passioni pure quella dei cani da valanga, un mondo che lo aveva incuriosito durante la sua esperienza da guardia in Canavese e che aveva frequentato per tanti anni. Senza dimenticare le batailles de reines: assiduo spettatore delle arene di tutta la regione, fu proprio Riccardo Borney a far scoprire le regine a Luciano Ramires, collega di lavoro al Parco, apprezzato fotografo naturalistico e papà di Davide, uno dei giovani allevatori appassionati di combats.
Fu molto felice quando il figlio primogenito Stefano, venuto alla luce nel 1967, all’età di ventitré anni decise di seguirne le orme e diventare a sua volta guardaparco. Stefano Borney è caposervizio del Corpo di Sorveglianza del Parco del Gran Paradiso, prima nella valle di Rhêmes e da un anno a questa parte in Valsavarenche.
Il funerale di Riccardo Borney verrà celebrato in forma privata: le sue ceneri saranno poi tumulate nella tomba di famiglia nel cimitero di Valsavarenche. Lascia la moglie Giulia Charbonnier, i figli Stefano e Nicole e gli adorati nipoti Gilbert Borney, Emanuele Della Marra e Cecilia Della Marra.