Quando i “secret” erano stregoneria Interessante conferenza a Jovençan

Quando i “secret” erano stregoneria Interessante conferenza a Jovençan
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Una grande e attenta partecipazione di pubblico ha caratterizzato la conferenza “Storie di Streghe: Secret nel Medioevo”, organizzata dal Centre d’études des Anciens Remèdes di Jovençan che si è tenuta lunedì scorso, 13 novembre, nel salone delle scuole. A condurla è stata l’esperta Silvia Bertolin, con al suo attivo una laurea in Giurisprudenza, un dottorato in Storia del Diritto, studi specifici sull’Inquisizione in Valle d’Aosta e 2 libri sempre inerenti la stregoneria nella nostra regione. Nel corso della serata Silvia Bertolin ha evidenziato come si giungesse a un processo di questo tipo, quasi sempre a causa di delazioni di altre persone dello stesso villaggio che ritenevano di avere subito un maleficio lanciato dall’imputata di turno (nella maggioranza infatti si trattò di donne) e che si era tradotto in malattie per loro o per il loro bestiame. Oppure, una delle cause sospette e scatenanti delle indagini era l’uso di erbe medicinali accompagnate dal pronunciare preghiere - quelle che oggi hanno il nome di “secret” - non ufficiali, ma personalizzate, da parte di donne considerate guaritrici e detentrici di speciali poteri. Ai vertici dei processi - nello specifico analizzati nel periodo da metà del 1400 a circa la fine del 1500 - vi era la triade formata dall’Inquisitore, dal Vicario del Vescovo di Aosta e dal Castellano del territorio ove l’imputata abitava. Quest’ultima veniva imprigionata in attesa dei risultati delle indagini e dell’interrogazione della gente del posto, quindi si procedeva a porre alla stessa una serie di domande, anche inerenti l’eventuale partecipazione a una “sinagoga”, una sorta di sabba alpino, per valutarne la colpevolezza. Infatti non tutti i processi inquisitori terminavano con i temuti roghi, anche se ve ne furono pure da noi come testimoniato dalle spese sostenute dai Castellani per l’acquisto delle fascine e della legna necessari. Se la confessione tardava, si ricorreva anche alla tortura consistente nel sospendere a una carrucola la persona legata con le mani dietro la schiena e nel dare alla stessa dolorosissimi “strappi” di corda. La pena poteva variare dal rogo purificatorio a una serie di penitenze plateali come l’indossare abiti con cucita davanti e dietro una croce gialla o anche all’espulsione dalla comunità stessa.

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