Processo “Do ut des”, tutti assolti Fabio Chiavazza: «Ne ero sicuro»

Processo “Do ut des”, tutti assolti Fabio Chiavazza: «Ne ero sicuro»
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Colpo di spugna sull’inchiesta “Do ut des” relativa a un presunto di giro di tangenti all’ombra del Cervino. Infatti la Corte di Appello di Torino ha assolto tutti gli imputati che erano stati condannati dal Tribunale di Aosta nel primo grado di giudizio. Le indagini, coordinate dal pubblico ministero Luca Ceccanti, erano state condotte dai carabinieri della Compagnia di Châtillon e Saint-Vincent e riguardavano sospette irregolarità in appalti pubblici tra il 2014 e il 2018. Un ruolo cruciale nella vicenda, secondo la ricostruzione degli inquirenti, era stato giocato dall’ex capo ufficio tecnico del Comune di Valtournenche Fabio Chiavazza. In tutto gli imputati erano 18 e, nel novembre 2018, le indagini avevano portato all’esecuzione di 18 misure cautelari. Per i magistrati torinesi, però, le persone coinvolte sono estranee ai fatti contestati, dato che hanno respinto tutte le richieste avanzate dal sostituto procuratore generale Marcello Tatangelo, in seguito al ricorso della Procura aostana che puntava non solo alla conferma delle pene inflitte al termine del primo processo ma anche alla condanna degli imputati assolti con la formula «Perché il fatto non sussiste». L'accusa, infatti, aveva chiesto la conferma della condanna di primo grado a 7 anni di reclusione ciascuno per Loreno Vuillermin, Renza Dondeynaz e per il figlio Ivan Vuillermin - imputati in qualità di soci dell'impresa Edilvu di Challand-Saint-Victor - e della pena di 6 anni di reclusione inflitta in abbreviato a Fabio Chiavazza, ex capo dell'ufficio tecnico di Valtournenche.

Inoltre aveva chiesto la conferma delle altre condanne inflitte in abbreviato dal Giudice dell’udienza preliminare di Aosta - 8 mesi ciascuno con la sospensione condizionale per l'ingegnere aostano Corrado Trasino e il funzionario dell’Anas Adriano Passalenti e 4 mesi (pena sospesa) ciascuno per i liberi professionisti Rosario Andrea Benincasa di Caravacio e Stefano Rossi - e di condannare tutti gli imputati che erano stati assolti "perché il fatto non sussiste": l’impresario Nicolò Bertini, l’ingegnere Giuseppe Zinghinì, la dipendente comunale a Valtournenche Cristina Camaschella, il presidente della Cervino Spa Federico Maquignaz, gli architetti Ezio Alliod e Marco Zavattaro, l’amministratore unico della Ivies Enrico Giovanni Vigna, l’amministratore unico della Edilvi Costruzioni Ivan Voyat, l’amministratore della Chenevier Spa Luca Frutaz e l’artigiano Stefano Trussardi.

Le accuse andavano - a vario titolo - dalla concussione alla corruzione, dall'abuso d'ufficio alla turbativa d'asta, dal falso ideologico all'abuso edilizio, sino ai reati tributari.

Secondo quello che era il quadro accusatorio, Fabio Chiavazza, tramite gare truccate e massimi ribassi, aveva favorito ''ditte amiche'' in cambio di alcune mazzette: accuse che ha sempre respinto, così come gli altri imputati. I giudici hanno disposto anche la revoca di tutte le accessorie e il dissequestro e la restituzione degli immobili posti sotto sequestro a Fabio Chiavazza.

«Sicuro di essere assolto»All’indomani dell’assoluzione con formula piena, Fabio Chiavazza, considerato dagli inquirenti il fulcro dell’inchiesta “Do ut des”, non nasconde la sua felicità ma assicura: «Ero certo che la verità sarebbe venuta a galla, e cioè che non ho commesso nessun reato. Detto questo, voglio evidenziare che non nutro rancore per nessuno: le Forze dell’Ordine hanno fatto il loro lavoro al meglio che potevano, ma la materia degli appalti pubblici è complessa e in continua evoluzione, e ho sempre avuto fiducia nella magistratura, tant’è che questa sentenza prova che la giustizia funziona». Chiederà il reintegro nel suo posto di lavoro e un risarcimento per ingiusta detenzione? «È troppo presto per parlarne - risponde Fabio Chiavazza - bisogna attendere le motivazioni della sentenza e capire se la Procura proporrà ricorso in Cassazione. Dal canto mio sono sereno, anche se è stata un’esperienza devastante, specialmente i 170 giorni di detenzione in carcere a Brissogne in una cella di 2 metri per 2. Devo dire che io e i miei difensori, Giuseppina Sollazzo e Anna Rossomando, non ci siamo mai arresi e abbiamo prodotto una corposa documentazione, certi di giungere a provare la mia innocenza. Sono una persona che vede sempre il bicchiere mezzo pieno, nonostante le avversità, e la mia fede in Dio mi ha aiutato a superare anche i momenti più difficili».

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