Piccole note ai margini
Solo qualche precisazione, poi la rubrica andrà in vacanza. Per l’estate pensiamo a qualcosa di più fresco. In autunno, ne riparleremo. L’annessionismo è ancora un tema che scotta. Mi hanno scritto in molti, chi invitandomi a scrivere il libro che non c’è, chi suggerendomi fonti che non conoscevo, chi segnalandomi ulteriori misteri, chi raccontandomi episodi di famiglia o di amici più anziani, chi lamentandosi perché non ho parlato di questo e di quello.
Ringrazio tutti per l’interesse mostrato. Sapere che da qualche parte, qualcuno ti legge ancora, anche se non sei su Facebook o su Youtube, è una ragione per vivere.
Una giustificazioni rituale: non si può parlare di tutto e di tutti. Sono 6.000 battute, circa 900 parole a settimana, e non si può andare avanti per anni, fare una telenovela. Qualche assenza, molto visibile, la devo però giustamente motivare.
Non ho mai parlato di Chanoux. Verissimo. Se parliamo di annessionismo la risposta è semplice: quando il problema si pose concretamente, cioè nell’estate del ’44, Chanoux non c’era più. Possiamo disquisire all’infinito su cosa avrebbe detto e fatto, ma certezze non ne avremo mai. Rileggendo la sua opera, come ce l’ha restituita Paolo Momigliano Levi e la Fondazione Chanoux, il notaio aostano sicuramente amava la Svizzera ben più della Francia. Ma l’opzione federalista elvetica non era disponibile. Rimanevano Francia o Italia da cui strappare la maggiore autonomia possibile. Chanoux rimane la grande presenza morale che accompagna tutta la vicenda, l’ideale che ispira gli animi, le mani pulite, ma l’unica cosa certa è che se ci fosse stato in quei mesi anche lui avrebbe dovuto sporcarsi le mani e accettare compromessi. Su Chanoux c’è ancora molto da indagare, sia sulla formazione del suo pensiero, sia sulla costruzione del mito (con un paradosso credo che ha un unico precedente al mondo: citato dai suoi discepoli per cinquant’anni senza che ne venissero pubblicati gli scritti), non certo fantasticando su cosa avrebbe fatto nel ’45.
Detto per inciso, anche i pettegolezzi sul delatore e l’arresto mi hanno sempre lasciato molto perplesso. Non c’era bisogno di alcuna “soffiata”: da almeno dieci anni l’OVRA sapeva tutto di Chanoux e dei suoi amici. Semmai potrebbe essere interessante capire perché lo si sia arrestato solo allora (solo perché il questore Mancinelli vuole farsi bello davanti al nuovo Prefetto?). E soprattutto perché sono saltate le protezioni di cui godeva (il Vescovo Imberti? il Prefetto Carnazzi?. Perché le sue e non quelle di Page? Perché nel maggio del ‘44 i fascisti hanno voluto inimicarsi la Curia e tutta l’Azione Cattolica? (Celi aiutaci tu!) E perché si sarebbero così tanto preoccupati dell’opinione pubblica da mascherare da suicidio un assassinio (o un interrogatorio sfuggito di mano), come sostiene recentemente Vichi, con osservazioni anche interessanti. Non mi pare che il regime di Salò cercasse il consenso popolare.
Non ho mai parlato degli “indipendentisti”. Qualcuno li chiama anche “separatisti”, ma è termine troppo ambiguo. Serve un chiarimento, perché si rischiano delle confusioni. Non voleva dire allora una “Repubblica valdostana” indipendente. Non era nemmeno pensabile a quei tempi. L’ipotesi indipendentista c’era, ma era legata a Maria José di Savoia e al suo progetto di una sorta di Principato sabaudo, sul modello del Lussemburgo, dove ricostruire un piccolo regno per il principe ereditario, in previsione di un suo probabile esilio. Qualche buon amico in Val d’Aosta Maria José l’aveva: Albert Deffeyes, Alessandro Passerin d’Entrèves, l’Abbé Henry (rimasto però un po’ troppo fascista fino alla fine), ma il piano poteva avere qualche speranza solo se Umberto avesse eroicamente accettato di farsi paracadutare nel nord e assumere la guida della Resistenza, impresa che era soltanto nella testa di sua moglie. Il fatto stesso che nessuno si sia mai preoccupato di contrastare il progetto significa che si era sgonfiato da solo.
Non si è indagato sulle reazioni della comunità “italiana”, degli immigrati che erano già ben più di ventimila, dei matrimoni misti dove i figli crescevano in lingua italiana. Qualcosa ci fa capire Gianni Torrione nel suo simpatico Profilo della Memoria: la paura da bambino di doversene andare, il terrore di un nuovo spargimento di sangue. Ventimila valdostani firmano per il plebiscito e gli altri? Indifferenti, contrari, rassegnati, pronti a prender l’armi? Forse c’è una ragione non solo organizzativa nel fatto che le firme per il plebiscito non siano state raccolte anche in Aosta.
Nel 1945 l’italianizzazione della Valle era già molto profonda. La fabbrica, l’immigrazione, i matrimoni misti avevano cambiato lingua e cultura assai più profondamente delle leggi e delle circolari ministeriali. Ottant’anni di insegnamento, in tutti gli ordini di scuola, della lingua, della letteratura, della storia e della geografia d’Italia (pur in competizione con il piccolo Chez-Nous delle Soeurs de Saint-Joseph), aveva “fatto gli italiani” anche in Valle d’Aosta. L’Opera Nazionale Dopolavoro, i Balilla, le banche, le strade, la ferrovia avevano completato l’opera. L’esercito era stata una grande scuola di italianità. Il mito degli alpini aveva trasformato i montanari in “sentinelle della patria”. L’ANA sfilava a Roma davanti al Duce e la Scuola Militare Alpina era una palestra di “fascismo eroico”.
Certo, poi c’era stata la guerra, il coup de poignard alla Francia, le “sentinelle della patria” mandate a morire in Grecia e in Russia, la guerra civile, l’occupazione tedesca, il regime di Salò, la fame, la sconfitta…. Cosa ha pesato di più? Ottant’anni di italianizzazione o cinque anni di una maledetta guerra?
Temo che abbiamo perso l’occasione per rispondere. Qualche tempo fa, coi protagonisti ancora in vita, si poteva fare una bella inchiesta. Con un campione rappresentativo di tutte le fasce della popolazione residente. Oppure con un’indagine a tappeto sui leader delle comunità, i sindaci, i parroci, i medici condotti, i maestri elementari, i notabili che guidavano le coscienze prima che arrivasse la televisione. Purtroppo le inchieste fatte sono state tutte molto selettive. Chi intervistava solo i partigiani, chi solo i contadini, chi solo gli annessionisti… Così si continua solo a sentire la propria campana. Ormai è dannatamente tardi, speriamo solo che l’esperienza possa servire per le ricerche future.