“Più polli, meno maiali”: la peste suina non c’è ma fa già sentire i suoi effetti in Valle d’Aosta
«Stiamo pensando di diversificare la produzione. Avvieremo l’allevamento di polli e oche e ridurremo il numero di maiali. Il rischio è troppo alto». La peste suina in Valle d’Aosta non è ancora arrivata e si spera non arrivi mai. I casi registrati nelle scorse settimane sono circoscritti ad alcune zone del Piemonte e della Liguria. Tuttavia il ritrovamento di cinghiali infetti nelle regioni limitrofe ha già conseguenze pure da noi. E’ il caso dell’azienda Amorland di Arnad. Un’eccellenza nella produzione di montagna, che ha il proprio fiore all’occhiello nei salumi di suino nero cresciuto allo stato brado. Un tipo di allevamento che sarebbe a forte rischio nel caso di ulteriore diffusione della malattia che - è bene ricordarlo - è pericolosissima e spesso letale per cinghiali e maiali ma non è trasmissibile all’uomo.
«Per il momento sembra che non ci sia un rapido allargamento a macchia d’olio dei casi, come si era temuto in un primo tempo. - dice Massimo Belforte, marito della titolare Elisa Urbano - Dal servizio sanitario della Regione finora non ci hanno prescritto alcuna misura ma si sono raccomandati di prestare molta attenzione. Attualmente non abbiamo maiali: prima li tenevamo pure d’inverno ma da un paio di anni, a causa anche dei lupi, li prendiamo direttamente in primavera. La nostra è comunque una progettazione a lungo termine, i maiali vanno macellati oltre i due anni di età. Siamo dell’idea di prenderne, ma in numero minore rispetto agli anni scorsi. Non sappiamo se il focolaio rimarrà circoscritto nella zona attuale o si espanderà, quindi vogliamo essere “elastici” per assorbire l’eventuale urto, diversificando la produzione per non rischiare di perdere tutto. Punteremo ad esempio maggiormente sulla coltivazione di spezie con cui produciamo birra e liquori e sull’allevamento avicolo, di polli e oche. Adesso il problema in Valle d’Aosta non c’è e bisogna evitare allarmismi, tuttavia stiamo allerta perché se dovesse fuoriuscire dall’areale attuale potrebbe non metterci molto ad arrivare qui».
Le misure prese nelle zone colpite dal contagio in Piemonte e Liguria sono state estreme, arrivando fino al divieto di praticare trekking e mountain bike. «La fortuna delle nostre valli è che rimangono abbastanza isolate tra loro e gli agenti patogeni si propagano molto più lentamente che in pianura. - conclude Massimo Belforte - Il motivo per cui è vietato il trekking è che gli indumenti e le scarpe sono i principali vettori. Tanto che in molti allevamenti è prevista la disinfezione delle calzature prima di entrare».