Per la bimba di 17 mesi morta per un’influenza dopo le visite la Procura chiede di processare un pediatra

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Nell’ambito delle indagini sulla morte a 17 mesi di Valentina Chapellu, avvenuta il 17 febbraio 2020 all'ospedale Regina Margherita di Torino, la Procura di Aosta ha chiesto il rinvio a giudizio per omicidio colposo del medico Marco Aicardi, 38 anni, di Verrayes.

La bimba era giunta nel nosocomio del capoluogo piemontese in condizioni disperate, dopo essere stata visitata e dimessa per 4 volte dall’Ospedale Beauregard di Aosta. L'udienza preliminare si terrà mercoledì prossimo, 23 marzo, davanti al Gup.

La decisione della Procura - l’inchiesta è coordinata dal sostituto procuratore Francesco Pizzato - è conseguente alla perizia dei consulenti Cinzia Immormino, medico legale, e Antonio Francesco Urbino, direttore della Pediatria d’urgenza della “Città della Salute e della Scienza” di Torino, svolta nell'ambito dell'incidente probatorio.

Secondo i periti non era possibile attribuire pienamente una diretta conseguenza fra l'operato dei sanitari che hanno avuto in carico la bambina e la sua morte. Sottolineano però che sussistono chiari profili di colpa, determinati da negligenza e imprudenza da parte del medico che la visitò durante l'accesso al pronto soccorso del Beauregard l’11 febbraio 2020, un martedì. Si tratta di «Colpa lieve» attribuita a Marco Aicardi, in quanto un «Evento così drammatico era effettivamente raro e quindi non si può pensare» che abbia «Agito nonostante la previsione dell'evento».

Un'adeguata «Diagnosi e terapia avrebbero influito in termini significativi sulla sopravvivenza, ma anche nel determinismo del decesso». Dalla consulenza, emerge che al momento delle 2 visite precedenti all’11 febbraio, svolte da altri 2 medici per i quali è già stata chiesta l’archiviazione, è molto probabile che la bambina fosse già affetta da influenza A, in quel momento senza la sovrainfezione batterica che ne ha causato la morte. L’11 febbraio le sue condizioni erano sufficientemente gravi da indicare un periodo di osservazione prolungato e un eventuale ricovero, in cui eseguire esami ematochimici e strumentali. «Sicuramente - sottolineano i periti - si poteva impostare una terapia che avrebbe dato maggiori possibilità di sopravvivenza alla bambina».

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