Peppino Camandona, una vita spesa al servizio del dolore della comunità
Vivere ogni giorno con la morte al tuo fianco da quando sei un bambino è una cosa talmente difficile da condividere e da fare comprendere, che diventa naturale creare un mondo parallelo, nel quale le passioni nascono e si sviluppano. Così il giovane Giuseppe Camandona, nato il 15 marzo del 1942, aveva solo sette anni quando la Mondadori pubblicò il primo numero della serie di albi a fumetti dedicata al cowboy Pecos Bill e Peppino diventò Pecos, il soprannome al quale rimase legato tutto la vita, tanto da firmare così ogni cosa che ritenesse importante scrivere, comprese le sue ultime volontà.
Il Peppino-Pecos viveva in un’Aosta in piena campagna, all’angolo della piazza del Popolo, dietro alla Salle de Gymnastique ed a fianco della Commissionaria Fiat Raiteri e Tha e della fabbrica di mobili dei Brunod, ma uscendo dall’arco sotto la casa e guardando verso sud si apriva il west, il mondo della prateria che arrivava fino in Dora e dove, pistole giocattolo nella fondina, i ragazzi potevano scorazzare con le stelle da sceriffo appuntate sulla camicia, alla ricerca di pellerosse e mondi misteriosi.
I Camandona erano arrivati ad Aosta all’inizio del Novecento, originari appunto di Camandona nel biellese e quindi trasferiti a Cigliano, da dove salirono in Valle come tante altre famiglie del paese vercellese. Fu Giuseppe Camandona, figlio di Antonio, nel 1926 - esattamente il 1 marzo - ad essere incaricato dell’appalto dei servizi funebri della città, all’epoca ancora nel vecchio camposanto di Ru Meyran, poi dalla metà degli anni Trenta nel nuovo cimitero monumentale. Cavalli e carri venivano ricoverati negli spazi che attualmente sono occupati dalle autofunebri, nel cortile della casa di famiglia, dove proprio nel 1941 si sviluppò un grande incendio e dove vivevano Antonio Camandona e Cecilia Viérin, i genitori di Peppino che nacque l’anno seguente. E carri e cavalli per Pecos altro non erano che i mezzi che conducevano i pionieri nel far west, secondo quello spirito di ironia e di adattamento che Peppino Camandona sviluppò sin da ragazzo, consapevole di fare parte di un’impresa famigliare che non si sarebbe fermata. Il nonno Giuseppe e il papà Antonio, oltre alla loro attività, si dedicarono pure all’edilizia acquistando i vecchi mulini del faubourg Saint-Genis sulla Rive de la Cité e costruendo la Casa Camandona all’angolo di via Monte Vodice e corso Battaglione Aosta e poi il condominio a fianco all’allora Hotel Mont Blanc. Inoltre, con il dopoguerra affiancarono ai tradizionali carri trainati dai cavalli il primo veicolo a motore dell'Impresa Camandona, nel 1946, un 1100 Fiat LC carrozzato appositamente e poi successivamente acquistarono pure la Lancia Astura già della Nazionale Cogne che trasportò Benito Mussolini in visita ad Aosta nel maggio 1939 e che, opportunamente modificata da Antonio, venne usata l'ultima volta per il funerale nel 1966 del deputato Corrado Gex, prima di ricevere un recente quando attento restauro.
Nel frattempo Peppino-Pecos, dopo il Liceo ginnasio, era sceso a Torino per il primo anno dell’università in Economia, ma l’improvvisa morte del padre lo fece rientrare ed a soli ventuno anni gli mise tra le mani quel lavoro che sapeva fin da ragazzo che sarebbe stato suo. Così non terminò gli studi e per lui iniziò il rapporto quotidiano con la vita e la morte, tra il dolore e la solidarietà, che ha caratterizzato la sua esistenza, così tanto da renderlo una sorta di missione, di presenza assidua, affidabile, di amico di famiglia per molti, di uomo in grado di aiutare nei momenti più difficili, in quelli più tristi, più disperati. Un peso grande per Peppino Camandona, un peso senza orari, che nel tempo lo ha visto accompagnare per l’ultimo viaggio non solo i parenti degli amici che frequentava ma anche quegli stessi amici con i quali aveva condiviso il west di Aosta, la scuola, lo sci, la caccia, l’amore per la montagna. Non passava giorno senza che Beppino fosse confrontato al dolore, allo sconforto più triste: la sua positività, la sua comprensione lo hanno fatto amare. In lui forte era il bisogno di stare insieme agli altri, per questo motivo la casa nel cortile di corso Battaglione Aosta era sempre aperta e la cucina sempre disponibile. Aveva incontrato nel 1964 Olga Joris, elegante maestra di Runaz, e lei lo capì: si sposarono ad Avise nel 1965 e per Peppino quella donna, che nel 1966 e nel 1970 gli donò prima Cristina e poi Marco, rappresentò la condivisione, una condivisione allargata al mondo dei Camandona, all’accoglienza per chi soffriva, sempre pronti a vedere il dolore negli occhi di chi suonava alla loro porta. A fianco a Peppino e Olga era l’amico fraterno Umberto Girod, poi è arrivato Marco ed ora anche il nipote Alberto fa parte di questo mondo particolare. Un mondo però che non ha mai tenuto lontano Peppino dai suoi figli, che seguiva in tutto quello che facevano, così tanto da fondare con i suoi amici nel 1984 la simpatica associazione La Terribile, per sostenere l’attività dello Ski Club Pila, della quale fu entusiasta presidente, oppure di aspettare Marco al rientro dalle sue prime ascensioni nelle montagne della Valgrisenche per poi accompagnarlo ed incoraggiarlo nel percorso per diventare guida alpina e alpinista di talento o ancora come dimenticarlo a Planaval nella notte ad aspettare l’arrivo di Cristina al “Tor de Géants”.
Peppino, con i suoi quattro pacchetti di MS sempre in tasca, fumatore accanito, ma capace di smettere, giocatore appassionato di belote, amante della buona tavola e delle cose belle, proprio a Planaval di Arvier all’imboccatura della Valgrisenche aveva trovato il suo luogo del cuore, acquistando una vecchia casa e ristrutturandola a Chez Les Roset, davanti al grande verde. Poi la baita di caccia a Montforciaz in fondo alla valle, dove salire durante la stagione venatoria. Svaghi e passioni che ogni giorno facevano però i conti con il dovere di esserci, di stare sempre pronto per andare ad incontrare il dolore. Quello stesso dolore che ha subito, fortissimo, quando Olga lo ha lasciato a dicembre 2019, seguito dagli eventi legati al Covid e dalla scomparsa dei valori più elementari di rispetto per la morte e per i defunti, cose incomprensibili per Peppino Camandona, un mondo che non sentiva più suo.
Dopo alcune settimane di ricovero in ospedale, a causa di una caduta in casa e alla frattura del femore, Peppino è stato lasciato libero di andare da Olga. Così Pecos è tornato a correre tra i prati del west di Aosta ed a camminare sui sentieri di Planaval. A Chez Les Roset le sue ceneri riposeranno a fianco a quella di Olga nella cappellina che aveva costruito e ieri, venerdì, la pioggia è scesa forte per le nostre lacrime nel salutarlo, nel giardino di casa, con la benedizione di don Marian Benchea, il prete che aveva conosciuto a Arvier e al quale era affezionato. Il “suo” Coro Sant’Orso, del quale aveva indossato la camicia a scacchi, ha intonato per lui Signore delle cime e Montagnes Valdôtaines, poi attraversando la folla di amici il feretro è stato appoggiato sul pianale della Lancia Astura che aveva condotto Benito Mussolini proprio a pochi metri da lì sulla piazza del Palazzo Littorio. L’ultimo viaggio di Pecos, che come ha voluto fare scrivere sull’epigrafe “non andrà più al bar”. Salute Peppino, a te e all’amicizia.