«Penso a lui come all’atomo di carbonio narrato da Primo Levi»

«Penso a lui come all’atomo di carbonio narrato da Primo Levi»
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Non credo che Stuart Woolf avrebbe apprezzato una commemorazione particolarmente formale. Peraltro, proprio Stuart Woolf, anni or sono in un convegno sul Risorgimento aveva sostenuto che le commemorazioni sono solo un surrogato della storia. Nulla di tutto ciò dunque. Apprendere della sua scomparsa ha suscitato in me un sentimento profondo e intimo che costringe in qualche modo inevitabilmente a ripercorrere alcuni momenti e alcuni tratti della sua opera e della sua figura.

Conobbi Stuart Woolf e sua moglie Anna a Torino, forse nel 1978. Un pranzo nella bella casa di Giulio Elter in corso Massimo d’Azeglio in cui io, giovane laureando, conobbi anche Lisetta e Vittorio Foa. Persone che in qualche modo, direttamente o indirettamente, insieme ad altre, hanno avuto un ruolo non marginale nella mia formazione. Ma sarà proprio Stuart ad occupare negli anni uno spazio mutevole ma definitivo. Negli anni Ottanta, quando vivevo a Parigi, anche lui e Anna vennero per alcuni anni. Gli anni delle sue ricerche che lo avrebbero portato a pubblicare “Napoleone e la conquista dell’Europa” ma anche della sua presenza all’Ecole des Hautes Études en Sciences Sociales.

Non fui mai un suo allievo in senso proprio ma fu certamente per me, come altri, un maestro per mia libera scelta. Un maestro in molti sensi. Affrontavo gli inverni parigini con una striminzita giacchetta in Harris Tweed e lui con il suo usuale Loden, finché paternamente mi disse che era ora che imparassi a vestirmi. Gli inviti al pranzo del sabato di Anna e Stuart erano un appuntamento canonico, occasione di grandi discussioni ma credo anche, a posteriori, che Anna mi invitasse preoccupata dell’adeguatezza della mia alimentazione.

Ritornare con la memoria a quegli anni è anche evocare alcune mie ingenuità che mi fanno ancora sorridere. Ero stato un lettore attento di Eric Hobsbawm che, come tutte le figure mitizzate, non è del tutto reale e quando Stuart mi invitò ad una sua lezione all’Ecole des Hautes Études en Sciences Sociales ne ho scoperto la reale esistenza in vita. Il mio rapporto con Maurice Aymard era nato per strade ma in qualche modo fu una triangolazione nel mondo einaudiano, al cui centro c’era Stuart, che mi portò a collaborare per alcuni anni con la Maison des Sciences de l’Homme prima e poi a Roma con Valerio Castronovo. Fu in quel contesto che gli suggerii la possibilità di proporsi all’editrice Einaudi come curatore del volume monografico sulla Valle d’Aosta; vicenda di cui conservo gelosamente la nostra successiva corrispondenza. Nessuno avrebbe potuto farlo meglio di lui.

La nostra frequentazione continuò nel corso degli anni a Cogne come anche a Settignano. All’Istituto Universitario Europeo insegnava pure Peter Hertner, curatore di un importante volume di “La Storia dell’Ansaldo” che a sua volta non fu estraneo ad un’altra triangolazione con Anna Maria Falchero, Duccio Bigazzi e altri che negli anni Novanta mi permisero di spostare progressivamente il mio baricentro da Parigi verso l’Italia. Ricordo oggi ben più di una conversazione a Parigi come a Montroz di Cogne sul rapporto con la cultura ebraica e ricordo che parlammo anche di Primo Levi ma non sapevo fosse il traduttore della prima edizione inglese del 1959 di “Se questo è un uomo”, né mai avevo saputo che Primo Levi era stato suo testimone il giorno del matrimonio con Anna, eppure le nostre erano conversazioni in qualche modo intime, soprattutto da parte mia, persino delle "confessioni" di un punto di vista che talvolta cercava conferma o ragionevole confutazione. Scrivendo queste poche righe è proprio questa la cosa che in qualche modo mi emoziona. Scoprire cose che non sapevo, ad esempio la sua passione per il canto corale, è come se prolungasse la vita, quella vera, e fa pensare che forse, anche dopo, qualcuno scoprirà di noi cose non nascoste ma pur sempre celate da un velo di riservatezza. Questo vale non solo per le persone vale anche per un’intera comunità. Quella valdostana ad esempio che pur inconsapevolmente ha un debito nei suoi confronti per aver contribuito a costruire l’idea che una convincente storiografia anche regionale è possibile solo con solidi strumenti e una coraggiosa e libera capacità interpretativa. Stuart Woolf mi fa pensare all’atomo di carbonio narrato da Primo Levi, a quella complessa catena della vita che trascende quella propriamente terrena di ciascuno di noi ma che è pur sempre vita.

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