Nuove accuse degli inquirenti allo psichiatra Marco Bonetti
Lo psichiatra aostano Marco Bonetti, 63 anni, arrestato nel marzo 2017 nell’ambito di un’indagine del Gruppo Aosta della Guardia di Finanza, è accusato di un nuovo caso di violenza sessuale su una donna in cura e - contestazione mossagli in concorso con altre cinque persone rivoltesi a lui - di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale e falsa attestazione o certificazione, nel rilascio di documentazione sanitaria ritenuta mendace.
Gli episodi sono emersi dall’attività investigativa svolta dalle Fiamme gialle sviluppando le evidenze che avevano condotto alla richiesta di giudizio immediato dello scorso giugno, che ha originato sia il processo conclusosi mercoledì scorso, 10 gennaio, a carico di due ex appartenenti alla Polizia penitenziaria, sia quello, ancora in corso con rito abbreviato (in cui dinanzi al Gup Gramola vi sono lo stesso Bonetti con altri pazienti), con sentenza attesa per il prossimo aprile.
Per queste altre accuse, la Procura ha scelto di procedere in via ordinaria, con il rinvio a giudizio dei sei imputati richiesto dal pubblico ministero Luca Ceccanti alla fine dello scorso dicembre e l’udienza preliminare fissata dal Gup Giuseppe Colazingari per il prossimo 22 febbraio. Bonetti, come nell’altro procedimento in cui è coinvolto, è assistito dagli avvocati Massimo Balì e Jacques Fosson.
Per il pubblico ministero, il medico allora «In servizio presso la struttura complessa Psichiatria dell’Azienda Usl» della Valle d’Aosta (dalla quale è andato in pensione ad inizio dell’anno scorso) avrebbe abusato delle «Condizioni di inferiorità fisica e psichica» derivanti dalle patologie da cui era afflitta una donna in cura da lui da anni. In particolare, per gli inquirenti, l’avrebbe indotta, in tre occasioni tra la fine di ottobre e l’inizio di dicembre 2016, a «compiere atti sessuali» consistiti in «ripetuti baci sulle labbra ed altre effusioni».
Per aver istigato, o determinato, lo psichiatra ad emettere delle certificazioni mediche ritenute false, sono imputati, assieme a Bonetti, cinque uomini, residenti tra la “plaine” e la media valle, tutti in servizio, all’epoca dei fatti loro addebitati, in seno alla Polizia penitenziaria. Sono tredici, complessivamente, le attestazioni finite sotto la lente d’ingrandimento della Procura, di cui il pm Ceccanti obietta della veridicità, utilizzate dai loro destinatari per giustificare «assenze per malattia» dal lavoro.
Il rilascio dei certificati è avvenuto, in molteplici occasioni, tra l’agosto 2015 e il novembre 2016. Da quanto appurato durante le indagini, Bonetti, agendo da medico dell’Usl «quale pubblico ufficiale» o comunque «incaricato di pubblico servizio», avrebbe falsamente certificato, redigendo diverse relazioni “sollecitate” dalle persone chiamate a giudizio in concorso con lui, sia «stati patologici insussistenti», sia l’assunzione di terapie farmacologiche a base di psicofarmaci, antidepressivi e ansiolitici, «in realtà non seguite dai pazienti», perché «non sono state reperite ricette relative ai farmaci indicati» dallo psichiatra.
Per questi casi, a differenza di quanto avvenuto nel processo terminato giovedì scorso, 11 gennaio, gli atti non menzionano versamenti di denaro. In tale procedimento due suoi pazienti, un cinquantenne e un cinquantatreenne residenti nella regione, denunciati dalle “Fiamme gialle” per concorso con il medico in falsità ideologica e corruzione, sono infatti stati condannati ciascuno a due anni e dieci mesi di reclusione.
Si trattava, all’epoca dei fatti, di due appartenenti al corpo della Polizia penitenziaria e il collegio giudicante (presidente Massimo Scuffi e giudici a latere Anna Bonfilio e Marco Tornatore) ha altresì dichiarato “estinto” il rapporto di lavoro di entrambi con il Ministero della giustizia, pronunciandosi inoltre per l’interdizione di ognuno dai pubblici uffici, per una durata di cinque anni.