“Nossan” Laffranc, vero montagnard La sua vita da Jovençan all’alpe di Pila

“Nossan” Laffranc, vero montagnard La sua vita da Jovençan all’alpe di Pila
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Alto e magro, sempre con il cappello in testa che lo faceva apparire ancora più alto, “Nossan” Laffranc era cresciuto a Clou tra le piccole ed antiche case e le ancora più piccole stalle e a Bren nel mayen di famiglia, abituato con i coetanei e con i fratelli Eliseo e Battista e la sorella Prosperine a giocare tra muri, corti e prati, guardando sempre con attenzione quello che lo circondava. Nato il 17 giugno del 1936 e battezzato Innocenzo Grato, fin da piccolo “Nossan” aveva sviluppato una conoscenza istintiva delle mucche, un dono che in un paese come Jovençan, con pochi abitanti ma dove l’allevamento bovino è una religione, non poteva passare inosservato.

Sempre più esperto della razza, seguendo il papà Massimo (la mamma era Alfonsine Desaymonet) partì dall’azienda famigliare con pochi capi spinto, come tanti giovani del suo tempo, anche dalla passione per le reines fino a portare Vespa al successo nel terzo peso alla Regionale del 1967. La gioia per quella vittoria, condivisa con Eliseo e Battista, però non gli fece mai perdere di vista l’obiettivo di creare un’azienda zootecnica moderna e redditizia.

Uomo razionale e pratico, “Nossan” aveva già capito che per portare a termine il progetto non sarebbero bastate le entrate della loro stalla dell’epoca. Così i fratelli Laffranc comperarono un camion ed alternarono ai lavori della campagna i trasporti per conto di altri. Lavorarono nei cantieri dell’autostrada che saliva da Chatillon, portarono a Les Fleurs i componenti della grande antenna della televisione, salirono a Pila con i pezzi delle seggiovie e tanto altro. In questo modo si trasferirono da Clou a Rotin, prima nella nuova stalla a fianco alla strada regionale, poi in quella più interna, la prima dotata di impianto di mungitura in Valle d’Aosta, vicino alla casa dove tutti vivevano insieme e si aiutavano.

Con un’azienda totalmente convertita alla razza valdostana pezzata rossa e alla produzione di latte, insieme al papà Massimo e ai fratelli, “Nossan” decise di prendere in affitto un alpeggio, per completare la gestione delle stagioni. La prima esperienza fu Ervillières della famiglia Elter, in fondo al vallone del Grauson a Cogne, luogo splendido, ma tardivo come si diceva. Avendo il mayen a Bren, l’obiettivo successivo fu trovare un alpeggio a Pila e così fu, prima in affitto poi - sogno realizzato - di proprietà.

Sposato con Ines Marquis di Verrayes, che molti ricordano postina a Jovençan e Gressan, mancata nel 1989, papà nel 1967 di Luciano, cresciuto anche lui nell’azienda zootecnica e continuatore dell’opera dei suoi antenati, e nel 1970 di Nadia, Innocenzo Laffranc si distingueva nel panorama dell’allevamento valdostano non solo per la competenza nel valutare gli animali ma anche per un modo di fare particolare, sempre attento ai ragionamenti, alla logica, ed interessato a conoscere le innovazioni, pur conservando un modo di essere e di comportarsi legato fortemente ai valori della terra e della famiglia.

Proprio con questa sensibilità aveva accolto con gioia e con una disponibilità inattesa i piccoli Mattia e Matilde, figli di Nadia e di Lori Stacchetti. Si era occupato di loro come nonno affettuoso e non mancava occasione per portarli a Bren e a Pila, ad ammirare il verde dei prati e dei pascoli, a spiegare i sacrifici di una vita e di una famiglia per costruire un qualcosa di solido. Con il tono di voce pacato, le sue parole di una saggezza antica, i ragionamenti semplici ed efficaci, “Nossan” Laffranc e la sua forte fibra hanno ceduto giovedì 26 settembre ad un’infezione intervenuta durante la riabilitazione a Saint-Pierre, successiva alla frattura di un femore.

Così sabato mattina, secondo i suoi desideri, solamente i famigliari si sono riuniti nella chiesa di Jovençan per l’ultimo saluto al personaggio “Nossan”, vero montagnard, che ha contribuito con la concretezza alla storia recente dell’allevamento valdostano, lasciando che le campane avvisassero la comunità della sua scomparsa.

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