Nelle motivazioni della Cassazione dubbi sulla “locale” della ‘ndrangheta

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Una locale della ‘ndrangheta in Valle d’Aosta? Le motivazioni della sentenza con cui la Corte di cassazione, nell'ambito del processo Geenna con rito ordinario, ha annullato con rinvio le condanne inflitte in secondo grado sollevano molti dubbi. Per associazione mafiosa erano stati inflitti al ristoratore aostano Antonio Raso 10 anni, all'ex consigliere comunale di Aosta Nicola Prettico e all'ex dipendente del Casinò di Saint-Vincent Alessandro Giachino 8 anni ciascuno a entrambi e per concorso esterno all'ex assessora comunale di Saint-Pierre Monica Carcea 7 anni. Nel medesimo verdetto emesso martedì 24 gennaio, la Cassazione aveva anche assolto definitivamente l'ex consigliere regionale Marco Sorbara dall'accusa di concorso esterno. Secondo la Cassazione, perciò, la sentenza d’Appello «Finisce per fare riferimento a elementi riconducibili solo ad atti, meramente preparatori, diretti alla formazione di una associazione per delinquere di stampo 'ndranghetistico».

A tutto ciò, secondo i magistrati della suprema Corte, va aggiunto che «Le vicende di maggior risalto emerse nel processo dimostrano la sussistenza di meri rapporti di forza diversi tra soggetti gravitanti nello stesso ambiente di sottocultura criminale, non certo la capacità di promanare all'esterno la tipica forza d'intimidazione, che caratterizza un'organizzazione strutturata come la 'ndrangheta». Insomma, secondo i i giudici della quinta Sezione penale manca sia una divisione di ruoli ben precisa sul modello tradizionale calabrese sia «Il riferimento a un episodio così significativo per ritenere sussistente il collegamento funzionale con la 'ndrina operante in Calabria». Non è tutto. Per la Cassazione le argomentazioni dei giudici di secondo grado sono «Illogiche e carenti nella parte in cui fanno riferimento a un “programma” ma indicano solo fatti singoli». A tal proposito viene precisato che «Affinché quella “fama criminale” possa essere fatta derivare dalla “spendita del nome” della 'ndrangheta calabrese, occorre che si provi che il tessuto sociale di riferimento (lontano dalla Calabria), anche in assenza di specifici “atti intimidatori”, sia automaticamente in grado di recepire i messaggio che quel collegamento evoca».

Nelle motivazioni della Cassazione si legge ancora che è «Evidente la necessità di un annullamento della sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte territoriale, perché si provveda a colmare le suindicate lacune motivazionali, tenendo conto, in via prioritaria, che in un caso come quello in esame, nel quale l'atteggiamento intimidatorio non ha mai assunto connotazioni esplicite, tantomeno spettacolari, non si è mai estrinsecato nella commissione di reati tipicamente e tradizionalmente ricollegati al fenomeno mafioso (omicidio, estorsioni, minacce, danneggiamenti…), e neppure ha portato alla condanna degli imputati per “reati-scopo” di qualsivoglia natura, è evidente che le azioni compiute dai componenti l'associazione possono essere considerate rilevanti sotto il profilo della loro capacità di integrare l'elemento costitutivo del “metodo mafioso”, in quanto possano essere ritenute di per sé evocative della fama criminale dell'associazione stessa».

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