Massimo Lévêque, la sua firma sui progetti di sviluppo negli anni in cui la Regione riuscì a «cambiare marcia»

Massimo Lévêque, la sua firma sui progetti di sviluppo negli anni in cui la Regione riuscì a «cambiare marcia»
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Pensare ad una Valle d’Aosta senza Massimo Lévêque non è facile. Lui è stato un ragazzo di Saint-Etienne, cresciuto in una delle zone di maggior fervore culturale della città, “feudo” del movimento dei Democratici Popolari al quale tanti giovani di valore si avvicinarono negli anni Settanta e Ottanta, anche se il loro storico punto di incontro era la Libreria La Huche dell’indimenticato Mario Bettinelli.

Fu proprio lì, tra quei muri di via Festaz, che Massimo Lévêque - nato ad Aosta il 9 luglio del 1959 - maturò dopo il Liceo scientifico la decisione di frequentare Scienze Politiche a Torino, nell’allora specifico e qualificato indirizzo Economico. E fu sempre in quel contesto di pensiero che una volta laureato nel 1983 - con 110 e lode - partì, selezionato da Unioncamere Torino, per un master alla Washington University che gli aprì le porte - nel settembre del 1984 - dell’Olivetti di Ivrea dove 25enne entrò come analista economico per lasciarla nel 1987 da dirigente della direzione generale, seguendo quella filosofia aziendale che vedeva nei giovani i creatori del futuro.

Negli incontri con i suoi amici - i fratelli Ilario ed Egidio Lanivi, Gianni Bortolotti, Cesare e Adolfo Dujany, Dante Malagutti -, molti dei quali parecchio più vecchi di lui, aveva infatti compreso che l’importante esperienza di studio e di lavoro, in Italia e all’estero, avrebbe potuto essere utilissima alla Valle d’Aosta e fu questa la sua scelta.

Massimo Lévêque portava dentro di se una serie di contraddizioni che, compensate, facevano di lui un giovane uomo raro. Innanzittuto il mitico nonno Piero Lolli, dirigente della Fiat, fondatore della filiale argentina dell’azienda torinese, originario di Bologna e in qualità di disegnatore tecnico inventore del marchio del tridente della Maserati, un uomo aperto al mondo, che ricordava ridendo di quando faceva da zavorra nelle prove in circuito delle auto guidate da Manuel Fangio. Poi il papà Italo, funzionario dell’Assessorato regionale delle Finanze originario della Val d’Ayas, uomo preciso scomparso giovane, lasciando Massimo e suo fratello Alessandro, per tutti Dino, orfani e vedova la loro mamma Laura. Quindi i 3 zii Lévêque, fratelli del padre, che gestivano la cascina del Refuge Père Laurent e la sua stalla, da loro venivano il senso del territorio, le radici della montagna e quella passione per prodotti della terra che lo caratterizzava.

Tanti aspetti per formarne il carattere e soprattutto l’impegno. Risale al 1986 la fondazione della Valbeni, una società con compiti avveniristici nella Valle d’Aosta dell’epoca, nella quale fecero i primi passi nel lavoro molti giovani talentuosi. Tra questi l’archeologa Maria Cristina Ronc, che sposerà nel 1992 e che il 1° ottobre del 1993 gli darà Philippe, il loro unico figlio.

Sono anni di grande fervore in Valle d’Aosta e Massimo Lévêque entra dalla porta principale nei processi decisionali. Nel 1992 viene chiamato da Ilario Lanivi, neo presidente della Giunta al ruolo di capo di gabinetto, gestendo subito dossier molto importanti, a cominciare da quello dell’acquisto dell’area Cogne. L’anno seguente, con Dino Viérin designato alla presidenza, viene indicato dall’area dei Democratici Popolari come assessore tecnico alle Finanze. Il suo ruolo è molto attivo sin dalla stesura del programma, trovando subito grande sintonia con Dino Viérin: oltre a risolvere la questione della Cogne, si indicano tra le priorità la politica energetica regionale, la costituzione di un polo creditizio valdostano, la creazione dei fondi di previdenza complementare, l’unione gestionale degli impianti a fune, l’autonomia finanziaria dei Comuni, la definizione delle competenze con lo Stato.

E’ una rivoluzione epocale, che porta al rilancio dell’attività della Cogne, all’acquisto delle centrali dell’Enel e alla nascita della CVA, agli accordi con la Heineken, alla creazione della Siski, a quella della Banca di credito cooperativo Valdostana e di Aosta Factor, all’ottenimento del rating per la Regione, intesa non più come uno scatolone di burocrazia ma bensì come un soggetto in grado di porsi con affidabilità sui mercati finanziari.

Di quegli anni di grande fermento rimangono la memoria dei protagonisti e tanti tangibili risultati, ancora oggi storici per la nostra regione. Meno lunga è la memoria collettiva, così quando Massimo Lévêque nel 1997 lascia su indicazione del suo movimento la guida dell’Assessorato delle Finanze si conclude un’esperienza che non avrà più eguali nel futuro dell’Amministrazione regionale.

Seguono l’apertura dello studio professionale, l’esperienza di candidato alle elezioni regionali come indipendente nell’Union Valdôtaine, l’appassionante presidenza della Siski durata dal 1999 al 2013 nella quale si sperimentano il biglietto unico, lo skipass digitale, i primi orologi con il pass integrato, tutte cose oggi normali all’epoca innovazioni straordinarie, la presidenza della Finaosta dal 2015 al 2018 senza però quegli slanci che si sarebbero attesi da lui.

Dal 2006 lo chiama l’Università della Valle d’Aosta ad insegnare ed è un successo, anche se i suoi corsi sono più impegnativi di quelli di altri colleghi. Gli studenti che lo seguono sono entusiasti, vista la sua capacità di rendere semplici le cose più complesse, di coinvolgere i ragazzi nei suoi ragionamenti. Poi in estate, la scorsa estate, la doccia fredda di non venire riconfermato, una grande delusione per lui.

Ma le delusioni facevano parte della sua vita recente, come in quel libro che aveva scritto “Autonomia al bivio” sembrava proprio che il suo bivio fosse quello sbagliato. Prima gli avevano tolto la Siski, che considerava come una sua creatura, poi l’insegnamento universitario, senza motivazioni, senza ragioni.

Nelle ultime settimane però l’incarico ricevuto dal Savt per occuparsi dell’osservatorio economico lo aveva entusiasmato. Giovedì 30 era contento della prima presentazione, anche se una brutta influenza gli aveva ricordato che gli anni passano per tutti. Tanto che aveva prenotato per ieri, venerdì 8, una visita cardiologica specialistica, anche se di cuore non aveva mai sofferto. Invece lunedì rientrando a casa quello che nessuno avrebbe mai pensato lo ha colpito, fermando proprio il suo cuore.

Uomo complesso, affascinante, in grado di concentrarsi e riuscire in tante cose, comprese quelle divertenti della cucina e della musica, valente chitarrista, ragazzo di compagnia in ogni occasione, ospite fisso al patrono di Vetan, villaggio originario dei suoceri Tino Ronc e Gilda David, dove amava trascorre le estati, nella casa in pietra aperta a tutti. Senza dimenticare il tifo per il Torino, ereditato dal papà Italo, nel rispetto di quelle tradizioni che così tanto amava e che ha sempre voluto valorizzare con una mentalità giovane ed aperta verso il domani. Quell’innovazione sostenibile che era un suo cavallo di battaglia e che è stata richiamata dalla voci degli amici dentro e fuori la chiesa di Sant’Orso, mercoledì scorso, 6 novembre, ricordata proprio da Dino Viérin nel commiato voluto dalla famiglia, abbinata ad una vocazione profondamente autonomista nell’agire e nel pensare.

Mercoledì prossimo, 13 novembre, Massimo Lévêque verrà ricordato alla Cave di via De Tillier dai tanti che gli hanno voluto bene e in particolare dalla famiglia Boniface, un bel modo - a lui sarebbe piaciuto - per stare con lui ancora una volta. Anche se in tanti sentiremo la sua mancanza.

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