Maestro di sci per quasi mezzo secolo, più l’Annapurna e tante avventure: la vita “spericolata” di Franco Romele

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Impianti di risalita tristemente chiusi, soprattutto per chi dello sci ne ha fatto una passione e un lavoro. Come Franco Romele di Cogne, per il quale questa stagione «fantasma» sarebbe stata la prima senza la giacca rossa, dopo quarantacinque anni. «Ci sono bambini che imparano a sciare ancora prima di camminare. Io non sapevo neppure cosa volesse dire scendere a valle, scivolando sulla neve con due pezzi di legno ai piedi, fino a quando lo sperimentai per necessità di lavoro e di anni ne avevo si e no sedici, forse diciassette. Oggi però, mi guardo intorno e vedo alle mie spalle una vita vissuta con la divisa di maestro di sci. Certo è che quando mi arrampicavo sui pali della seggiovia di La Thuile non lo avrei mai immaginato!»

Le parole di Franco Romele, maestro di sci fino allo scorso 25 marzo, fanno immaginare quei tempi lontani, di quando lui bambino adorava fare il «cit» perché «ero follemente innamorato delle mucche ed ero attratto da tutto ciò che rappresentavano per me la natura e l’ambiente di montagna». E’ un pozzo di ricordi il suo, tanto che è difficile stare dietro alle sue parole, passando dall’infanzia al servizio militare mancato, per tornare alla storia dei suoi genitori e poi alle fotografie che accarezza, con il sorriso sotto i baffi.

Gianfranco - per tutti Franco - Romele nasce in casa, l’8 novembre del 1946, nel complesso dell’Onarmo - il villaggio minerario - a Cogne. Il suo primo vagito accende per la seconda volta, dopo la nascita della sorellina Mirella, avvenuta un anno prima, la felicità di mamma Giuseppina Bonfanti, nata nel 1923 a Endine, in provincia di Bergamo, figlia dei coniugi Luigi Bonfanti e Domenica Bariselli, e di papà Giovanni, classe 1907, lombardo della Val Camonica, a sua volta figlio di Francesco Romele e Domenica Faustini, giunto in Valle d’Aosta per lavorare nella miniera di magnetite proprio a Cogne, nella cui chiesa Giuseppina e Giovanni si sposarono nel 1943, anche se i due si conoscevano sin da ragazzi.

Il primo ad arrivare tra le nostre montagne alla fine degli anni Trenta fu proprio il papà di Franco Romele. «Mio padre Giovanni mi raccontava sempre di quei tempi e di quando per via della guerra e della presenza dei tedeschi sul territorio doveva affrontare mille difficoltà per prendere il trenino che dal Acque Fredde lo portava a Cogne. La cosa che poi mi faceva molto sorridere era immaginare lui e mia madre in viaggio di nozze: da Saint-Pierre dove lei abitava con i suoi genitori fino a Cogne è andata a vivere con papà. Da Cogne, quando avevo solo quattro anni e mia sorella Mirella cinque, siano tornati a Saint-Pierre, dove ho frequentato le scuole elementari e vissuto infanzia. Poi, arrivò il tempo il collegio Don Bosco a Châtillon che però non mi piaceva per nulla, tanto che ho preferito lavorare e, quindi, iniziai molto giovane ad apprendere il mestiere del fabbro.»

Aveva solo quattordici anni quando trovò il primo impiego a Saint-Pierre dal fabbro Roberto Lyveroulaz. Il mestiere lo imparò in fretta, tanto che Franco Romele a diciassette anni fu assunto come operaio alla «Cogne» di Aosta e lì fu avviato a diventare un tornitore. «Per dieci anni rimasi un operaio. Poi - racconta Franco Romele - per i successivi dieci svolsi mansioni superiori. Sono stato uno dei primi dipendenti a lavorare sulle machine a controllo numerico. Mi mandarono anche a fare un corso di formazione a Tortona, in provincia di Alessandria, e al mio ritorno fui promosso capo turno. Dopo vent’anni di “Cogne” decisi che la mia vita doveva essere un’altra e così mi decisi ad avviare in proprio l’attività di fabbro in carpenteria e forgiatura. Purtroppo, per un tumore alla gola, per il quale dovetti sottopormi a un importante intervento chirurgico e alle successive cure, sono stato obbligato a smettere, andando in pensione nel 2003 con quasi quarantatré anni di contributi tra la “Cogne” e quelli da fabbro. Comunque in questo lungo periodo di lavoro non ho mai rinunciato alla mia passione per la montagna, anche solo per un caso divenni un maestro di sci.»

Andiamo allora con ordine, giusto per non perdere il filo del racconto, dunque torniamo per un attimo indietro nel tempo della vita di Franco Romele che, da ragazzino, era pure appassionato di motocross, tanto da ottenere a diciassette anni il titolo di campione valdostano di gimkana e trial.

«Ero bravino sulle moto da cross. Mi piacevano e ci mettevo sempre mano per aggiustarle e modificarle. Fino a quando mi feci male alla schiena e dovetti abbandonarle. Avevo appena sedici anni quando mio padre, che ne aveva solo cinquantacinque, morì per un infarto mentre stava svolgendo alcune pratiche nell’ufficio della miniera sopra Pompiod, a Aymavilles, dove era stato trasferito da quella di Cogne: lui è stato una guida importante per me. Comunque se torno ancora più indietro, mi rivedo a undici anni “cit” nell’alpeggio Chacotteyes di Samuele Grimod, sopra Arpuilles di Aosta. Lassù andai per tre estati consecutive, nonostante i miei genitori non lo volessero. A me, invece, piaceva moltissimo quel tipo di vita all’aperto, in montagna. Però quando tornavo a casa a fine estate, mia mamma, prima ancora di farmi entrare in casa, mi faceva spogliare ed entrare direttamente nella fontana per lavarmi.»

Quindi ora rimane da scoprire cosa e chi spinsero Franco Romele ad intraprendere la carriera di maestro di sci che lo ha visto insegnare a frotte di ragazzini in quarantacinque anni di attività sulle piste innevate del comprensorio di Pila. Tutto iniziò a La Thuile. «Mi scappa ancora oggi da ridere - e la risata gli scappa per davvero, mentre ricorda quei momenti Franco Romele - se penso alla prima volta che ho messi gli sci ai piedi. Erano ancora quelli fatti di legno e dovevo andare a lavorare a La Thuile con il fabbro Lyveroulaz per posizionare dei rinforzi ai pali della seggiovia. Dunque, imparai a sciare per necessità, scoprendo solo in seguito di nutrire per la discesa una forte attrazione. Per forza di cose, infatti, una volta scesi dai pali bisognava fare rientro a valle con gli sci. Inizialmente non sapevo neppure a cosa servissero i bastoncini, ma lo capii ben presto. Di certo ricordo che non davo proprio l’idea di essere uno sciatore. Cominciai presto ad appassionarmi e c’era sempre qualche amico che mi convinceva ad andare a Pila a sciare il sabato e la domenica. Fu lì che conobbi Camillo Viérin che era già molto bravo, ma non aveva ancora dato gli esami di maestro di sci, salvo poi diventarlo e ricoprire pure la carica di presidente dello Ski Club Pila di Gressan. Era talmente bravo che guardando lui cercavo di imparare per imitazione, perché era così che a quell’epoca si faceva, altro che tecnica e didattica! E fu quindi così che imparai a sciare davvero bene, tanto che decisi di mettermi a studiare per diventare a mia volta maestro, esame che superai nel 1975 quando avevo ventinove anni. Iniziai poi a partecipare ai corsi di sci fuoripista con il Club Alpino Italiano di Aosta sotto la guida di Angelo Bozzetti, dopodiché mi iscrissi alla Scuola di Sci Gran Paradiso di Cogne. Per andare lassù dovevo per forza di cose adattarmi ai turni di lavoro ad Aosta e, quindi, dovevo prendere permessi alla “Cogne” e sfruttare al massimo i sabati e le domeniche. Poi, una volta chiusa la mia attività di fabbro ho potuto insegnare a tempo pieno e l’ho fatto fino allo scorso inverno, quando ancora si poteva prima della chiusura di primavera legata al Coronavirus, giusto in tempo per festeggiare la fine del mio lungo periodo di maestro di sci: ben quarantacinque anni! Decenni di soddisfazioni che ancora adesso mi vedono stupito quando incontro ex miei allievi, in parecchi casi addirittura già nonni, che mi salutano e mi dicono: “Ehila, Franco, ma ti ricordi quando ero piccolo e tu mi insegnavi?”. Oggi, però, i tempi sono molto cambiati rispetto quando iniziai e i clienti ti chiamavano a casa, i telefoni cellulari non si sapeva cosa fossero, ben prima che iniziasse la stagione dello sci per concordare le lezioni. Negli anni è pure cambiata la tecnica nel modo di sciare, soprattutto perché legata all’avanzare delle nuove strutture degli sci, più larghi e più corti, tanto che cambiando la loro tipologia, cambiava l’inclinazione, aspetti che già per noi maestri non erano facili da apprendere da un giorno all’altro, prima di trasmetterli agli altri.»

Franco Romele, sapendo sciare e pure arrampicare, grazie all’amico di sempre Abele Blanc, nei primi anni Settanta entrò anche a fare parte del Soccorso Alpino Valdostano, frequentando dapprima i corsi al Rifugio Monzino, sotto la guida di Franco Garda «uomo severo, duro, capace di trasmettere sicurezza a noi allievi». Insieme ad Arturo Allera, fu poi il promotore della squadra di hockey su ghiaccio di Cogne e della realizzazione della patinoire, spazzata dall’alluvione del Duemila. «Se lo sci era già entrato a far parte della mia vita quando ero un ragazzo, non da meno fu l’altro aspetto della montagna ad attirarmi sempre di più, grazie alla forte amicizia che mi legava ad Abele Blanc, diventato uno dei più forti alpinisti italiani. Con Abele - rammenta Franco Romele - andavo dovunque ad arrampicare, tanto da ricordare ancora oggi le nostre salite sulla Dent d’Hérens, il Dente del Gigante, la Grivola. Sempre a mia insaputa, lui decideva dove andare e io lo seguivo fino ad arrivare davanti alla parete di roccia e solo in quel tale momento capire che bisognava salire lassù! Lo seguivo come un’ombra, lui era già un forte atleta, pur essendo più giovane di me di otto anni. Amavo molto arrampicare con lui ma, nonostante la sua insistenza, non volli mai intraprendere, la carriera di guida alpina. Forse la mia fu una scelta sbagliata, tuttavia non lo credo perché sentivo dentro di me che non avrei più apprezzato la montagna fino in fondo. E mi faceva male il solo pensiero di poter commettere magari un solo banale errore e causare del male a qualcuno. Ho, però, potuto apprezzare moltissimo le difficoltà dei trekking in giro per il mondo. Con Abele, nel 1986, abbiamo raggiunto il santuario sull’Annapurna, in Nepal, che con i suoi 8.091 metri è la decima cima più alta del pianeta, dieci anni dopo nel 1996 siamo saliti in vetta al Kilimangiaro in Tanzania e nel 2003 mi sono tolto la soddisfazione di arrivare vicino al campo base dell’Everest, un ricordo indelebile. Ho sempre amato molto camminare anche in Valle d’Aosta e, seppure l’abbia percorsa quasi tutta, sono del parere che non sarà mai possibile per nessuno conoscerla fino in fondo. Noi valdostani siamo molto fortunati, viviamo in un ambiente davvero unico e anche noi possiamo vivere tra le nostre montagne le nostre emozioni. Perché andare in giro per il mondo significa viverne di altre, in altri ambienti, in altre realtà tra altre civiltà.»

Proprio tra le tante realtà vissute da Franco Romele figura il Madagascar, una perla di natura in mezzo all’Oceano Indiano unica al mondo. L’idea di andarla a conoscere è una storia nella storia, un “voto” di riconoscenza dopo l’operazione subita nel 2003 per asportare il tumore alla gola. «Decisi di andare laggiù, nel 2004, insieme a Innocenzo Kiki Cavagnet, noto albergatore di Cogne, a un anno di distanza dall’intervento chirurgico, come volontario in una missione della Congregazione delle Suore di San Giuseppe dove venivano curate le persone malate di lebbra. Il nostro compito era quello di costruire dei piccoli acquedotti per portare l’acqua in alcuni villaggi del Madagascar centrale, tra Fianarantsoa e Vohilava. Fu solo per un mese, nonostante il forte caldo e la tanta umidità che ho dovuto sopportare, dico sempre che ne è valsa la pena.»

La moglie di Franco è Rita Gérard, classe 1949, e si sono sposati a Cogne sabato 25 gennaio 1975. Dunque, tra poco più di tre settimane festeggeranno il loro quarantaseiesimo anniversario di matrimonio. Si conobbero ad Aosta, quando lei frequentava le scuole superiori per diventare segretaria d’azienda. «Fu don Corrado Bagnod, parroco di Cogne, a celebrare le nostre nozze. Poi - evidenzia Franco Romele che il mondo lo ha girato anche da turista insieme alla sua Rita - per il viaggio di nozze, decidemmo di dedicarci allo sci tra Arabba in Trentino e Livigno in Lombardia. Da allora di anni ne sono trascorsi davvero tanti. Ma ciò che di bello c’è oggi è che finalmente possiamo dedicarci totalmente al tempo libero. Io, in particolare, non potendo più svolgere l’attività di maestro di sci per raggiunti limiti d’età, insieme ad un gruppo di amici mi godo la Valle d’Aosta in bicicletta, bicicletta però quella a pedalata assistita… molto assistita. Altrimenti, quando il tempo non lo permette, soprattutto durante l’inverno, mi ritiro nel mio laboratorio di Cogne dove realizzo piccoli oggetti in legno, soprattutto dei “tatà”. In attesa della prossima primavera e del ritorno in sella della bici assistita - non di un cavallo - lungo i sentieri della mia meravigliosa regione.»

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