“Le partite a calcio con Francesco Nuti e il caprone verniciato” Ayas ricorda il film “Tutta colpa del Paradiso” 36 anni dopo

“Le partite a calcio con Francesco Nuti e il caprone verniciato” Ayas ricorda il film “Tutta colpa del Paradiso” 36 anni dopo
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Ha lasciato ricordi indelebili ad Ayas e “di” Ayas la pellicola del 1985 “Tutta colpa del Paradiso”, girata tra la Val d’Ayas, la Valle di Gressoney e il villaggio di Pellaud a Rhêmes-Notre-Dame, diretta e interpretata dall’attore toscano Francesco Nuti, alla sua seconda regia, affiancato dall’icona Ornella Muti. Ricordi che riaffiorano in queste settimane durante le quali proprio in Val d’Ayas si sta girando il film “Le Otto Montagne” tratto dall’omonimo libro di Paolo Cognetti. I volti e i luoghi immortalati nella pellicola del 1985 torneranno sul grande schermo venerdì prossimo, 16 luglio, alle 21.15, all’auditorium della Monterosa Spa a Champoluc.

Le riprese a Ayas, sono avvenute per l’80 per cento all’Alpe Taconet, alla baita che, proprio a causa del film, ha poi preso il nome di Paradisia, e in centro a Champoluc all’Hotel Breithorn, di cui si vedono gli interni di un tempo, con boiserie e fregi che ora non esistono più, e la facciata su route Ramey, anche se quando poi la scena si spostava all’esterno appariva, grazie alla finzione cinematografica, la piazzetta di Gressoney-Saint-Jean.

Furono tanti i personaggi locali che parteciparono al film nel ruolo di comparse. Alcuni sono già deceduti, come Delfino Burgay, Elio Favre e Biagio Frachey. Altri hanno accettato di condividere le sensazioni e le vicende di allora. Tutti hanno un bellissimo ricordo della produzione, che si è fermata sul posto per circa 8 mesi, intrattenendo con gli abitanti dei rapporti anche amicali. Si disputavano perfino partite di calcio tra ragazzi di Ayas e staff, tra cui lo stesso Francesco Nuti che, come riferisce il maestro di sci Pierluigi “Pigin” Favre, 73 anni, era un fenomeno a pallone: «Avrebbe potuto tranquillamente fare il calciatore professionista». Non a caso nella scena finale del film, mentre scende dall’Alpe Taconet, Nuti si gira per calciare al volo un pallone lanciato dal piccolo Lorenzo (l’attore Marco Vivio) dalla baita Paradisia. «La prima partita tra Champoluc e produzione è stata arbitrata da Roberto Rosetti, allora 18enne e arbitro di serie C, ora capo degli arbitri europei» rievoca Pierluigi Favre, che ricorda anche quando con gli amici saliva alla baita apposta «per vedere la Muti».

A darsi più da fare per il set è stato il maestro di sci Martino Burgay, 82 anni, che al tempo lavorava alla società degli impianti a fune come gattista e forniva alla produzione i mezzi per trasportare gli strumenti e i materiali. Accompagnava anche volentieri, con uno di questi mezzi, Ornella Muti nel villaggio di Soussun, per degustare formaggi di baita, che lei apprezzava molto. Il suo apporto principale è stato per “creare” lo stambecco bianco, che chiunque ha visto il film non può essersi dimenticato: «Ho preso un caprone, gli ho tagliato con il filo d’acciaio delle bici le corna, seguendo le indicazioni di un veterinario, lasciando solo tra i 10 e i 15 centimetri, e ho infilato sui monconi rimasti le corna di uno stambecco, fissandole con delle viti. L’animale era perfettamente sveglio e tranquillo perché, evidentemente, non sentiva alcun dolore. Poi ho utilizzato 16 bombolette spray di vernice per farlo diventare, da marrone, bianco. Solo che in breve tempo tornava del suo colore originario, quindi fino a poco prima della scena ho dovuto colorarlo. Trasportato con un camioncino di Lucio Favre a Rhêmes, una volta collocato sull’enorme masso di circa 5 metri per le riprese stava fermo come una statua e, per non farlo sembrare finto, la produzione mi ha chiesto di passare sotto e chiamarlo affinché muovesse la testa».

Tra i ricordi di Martino Burgay anche 2 marmotte che ha portato sul set tenendole per la coda («l’unico modo per non farsi mordere»), le riprese di una festa al Breithorn, durante la quale ha cantato e suonato la tromba “per finta” («noi ragazzi in mezz’ora abbiamo girato la scena, riuscendo a non guardare la cinepresa e ad essere il più naturali possibile, le ragazze ci hanno messo quasi due ore»), il momento in cui un’altra comparsa giocava a flipper dicendo “Tanto non lo trovi” riferito allo stambecco («anche in patois la frase si dice in modo simile») e la scena in cui la Muti si lavava alla fontana davanti alla baita restando in topless («vista dal vivo molto meglio che sullo schermo...»).

Collega e grande amico di Martino, anche Marco “Fabie” Chasseur, 72 anni, lavorava alle funivie e del film ricorda la scena del gallo sulla staccionata della baita, quella della radio ad alto volume nella quiete della natura e quanto Nuti fosse un accanito fumatore, sempre con la sigaretta in bocca: «Ogni scena si ripeteva svariate volte, anche rimandando al giorno dopo se non era tutto perfetto. Una tavolata con noi comparse che era stata ripresa alla baita non è poi rientrata nel film».

Infine Naida Giaime, 72 anni, rievoca la scena della festa al Breithorn in cui ballava con Elio Favre, proprietario di allora, e il tempo libero passato con le persone della produzione, che amavano conoscere la valle e fare passeggiate, anche fino al Rifugio Mezzalama, e andavano volentieri a cena con gli abitanti del posto, per esempio al ristorante Jajalaj che teneva la cucina aperta fino a tardi. Naida ha partecipato alla scena della corriera che saliva verso Mandrou e si fermava su un tornante, dal quale si gode una splendida vista sul Monte Rosa: «La corriera era d’epoca e temevamo davvero che non ce la facesse ad arrivare in cima...».

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