“Le montagne valdostane? Sono ben valorizzate”

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È uscito qualche mese fa l’ultimo numero della nuova rivista Archalp. Il numero 5 della nuova serie. Una rivista nata nell’ormai relativamente lontano 2010 da un progetto editoriale dell’Istituto di Architettura Montana del Politenico di Torino grazie all’impegno in particolare di Antonio De Rossi e poi di Roberto Dini e con loro dei molti che hanno attivamente contribuito alla sua diffusione e alla sua notorietà. Nel 2018 nasce la nuova serie in edizione cartacea disponibile anche online sul sito archalp.it.

Archalp non è solo una “rivista internazionale di architettura e paesaggio alpino”. Non si tratta in altre parole soltanto di un progetto editoriale più o meno nel solco di una editoria di settore. Archalp è uno spazio di ricerca e riflessione in cui si percepisce il segno di un approccio metodologico e concettuale di cui la facoltà di architettura di Torino è un punto di riferimento ormai da lungo tempo e di cui a sua volta essa è debitrice nei confronti di alcune figure decisive quali in particolare quelle di Roberto Gabetti e Aimaro d’Isola ma soprattutto alla figura di Carlo Olmo, per lunghi anni preside della facoltà e dal 2015 professore emerito. Come scriveva proprio Carlo Omo nel primo numero della nuova serie, una questione davvero complessa è quella del rapporto delle Alpi con la modernità ed al di là della acuta puntualità della considerazione, è per noi estremamente stimolante considerare che questa considerazione si colloca all’interno di una rivista di architettura. In questo senso le Alpi non sono affatto uno spazio periferico né della modernità né tanto meno dell’Europa moderna e contemporanea. Pensare dunque che in qualche modo le Alpi si riflettano nella loro architettura, di ieri e di oggi, significa considerare che la costruzione del mondo intorno a noi, in singole architetture o in articolati e stratificati paesaggi, permette a chi lo indaga di disvelare alcuni tratti e alcune linee di tensione di un mondo che ostinatamente si confronta, non senza conflitti, con la sua propria contraddittorietà, profondamente intrisa allo stesso tempo di un tradizionalismo conservatore a tratti esasperato fino all’ipocrisia e dall’altro un’apertura alla contaminazione, al flusso delle genti e delle idee di cui le Alpi sono uno dei più affascinanti esempi europei.

Il numero 5 della rivista, è dedicato alle “ Nuove frontiere per il progetto nelle Alpi centrali e orientali” e pone a confronto alcuni modelli “regionali”. Quelli del “modernismo critico”, ad esempio il Ticino o i Grigioni, oppure quelli in cui è in corso una sorta di “ri-significazione” del patrimonio costruito nel tempo, in particolare in Slovenia, Friuli Venezia Giulia o alta Lombardia. A tutto ciò però si somma anche quella riflessione sulla “relazionalità” che ha nel grande architetto svizzero Peter Zumthor un punto di riferimento ineludibile . Non meno ineludibile è quella considerazione che dobbiamo all’architetto Walter Angonese, che sottolineava già anni or sono quale fosse la sfida costituita dal coniugare storia, ambiente, estetica e razionalità. Ciò che costituisce la trama e l’ordito del concetto stesso di ”edificare nella continuità”.

Il numero 5 affronta questi temi con una competente introduzione di Simone Cola e attraverso le opere di numerosi architetti. Segnalo ai lettori in particolare gli articoli in italiano dedicati all’opera di Nicola Baserga, Matteo Scagnol e Sandy Attia, Gerd Bergmeister e Mikaela Wolf, Gerhard Malhknecht, Enrico Scaramellini, Federico Mentil, Alberto Winterle e Roberto Paoli. Ma è doveroso segnalare anche quelli in altre lingue dedicati a Bernardo Bader, Markus Wespi e Jérome De Meuron, Meta Kutin e Andreas Flora. Come disse Armando Ruinelli: “Un’architettura che imita la tradizione senza interpretarla attraverso la cultura del presente è disonesta e irrispettosa”. Quella fase a cui questa riflessione/sentenza di Ruinelli fa riferimento è già in parte dietro di noi e si intravvedono i segni di qualcosa di nuovo e non necessariamente più rassicurante. L’architettura valdostana è stata profondamente e positivamente segnata dall’esperienza di cui va dato merito alla Fondazione Courmayeur Mont-Blanc. Ma è anche vero che questo cantiere non è mai chiuso e come tutti i cantieri ha necessità di innovarsi nei modi, nei temi, nelle forme del confronto, nei segmenti di società che ne risultano coinvolti. L’incontro che si terrà giovedì 15 aprile alle ore 16.30, promosso dalla Fondazione Courmayeur Mont-Blanc e dall’IAM è un appuntamento importante nel solco di una riflessione necessaria e sempre attuale.

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