La rettrice Mariagrazia Monaci: «La politica deve credere nell’Università e investire sul suo futuro»
Università si, Università no, Università come? Da 20 anni l’Università della Valle d’Aosta è un tema piuttosto dibattuto, dopo gli inizi entusiastici l’ateneo valdostano non ha conosciuto quello sviluppo soprattutto in termini di iscritti che molti si aspettavano. Nel frattempo gli investimenti non sono mancati, anche quelli “impattanti”, come la quasi totale demolizione del quartiere militare della Testa Fochi per fare spazio a un campus che alla fine si è ridotto ad un “mini” campus, perché la maggior parte degli stanziamenti è stata tagliata, segno tangibile di quanto poco la pubblica amministrazione creda nel progetto. Da qualche mese però l’assessore regionale Luciano Caveri ha preso di petto la questione e gli scontri non sono mancati, anche perché sono emersi dati non proprio confortanti, come il calo degli iscritti - 988 al 31 maggio scorso, ben lontani dalla soglia dei 2.000 ipotizzata da anni come traguardo - e come l’attrattività dell’Università della Valle d’Aosta rispetto agli studenti provenienti da fuori regione, cioè coloro che per frequentare i corsi spendono, quindi affittano camere e alloggi, frequentano ristoranti e negozi, in poche parole il target a cui puntano tutte le università del mondo affinché gli investimenti pubblici creino un indotto per la comunità. Gli ultimi dati, quelli appunto di fine maggio, individuano tra i 988 iscritti ben 563 residenti in Valle d’Aosta, pari al 57 per cento, mentre 425 sono gli studenti che arrivano da fuori, dei quali 336 (34 per cento) provenienti dalla regioni vicine del nord-ovest, 69 (7 per cento) dal resto d’Italia e 20 (2 per cento) dall’estero. Numeri che non fanno che avvalorare l’opinione di molti che l’Università della Valle d’Aosta sia un “rifugio” per i valdostani piuttosto che un’opportunità per attrarre studenti da fuori. La persona più indicata per fotografare l’attuale situazione dell’ateneo e per fornire delle indicazioni per il suo futuro è senza dubbio la rettrice Mariagrazia Monaci, pertanto professoressa a suo avviso com’è la situazione nell’Università della Valle d’Aosta?
«L’ateneo oggi è una realtà consolidata. Io sono abbastanza serena, cerchiamo di lavorare al nostro meglio e proprio in questi giorni sono usciti i bandi studenti per le iscrizioni al prossimo anno. Sono anche contenta dell’attenzione che la stampa locale sta dando alla nostra università, perché uno dei nostri obiettivi è quello di farci conoscere il più possibile. Dobbiamo farci conoscere in Valle d’Aosta e fare capire a tutti chi siamo, i nostri punti di forza e anche i limiti che dobbiamo ancora superare. Alcuni in questa regione ancora non hanno capito del tutto cosa facciamo.»
In che senso la Valle d’Aosta ancora non ha capito cosa fa la nostra l’Università?
«Diciamo che sono passati 20 anni da quando esiste l’Università della Valle d’Aosta, che tutto sommato per un ateneo sono pochi. Credo che il territorio con cui ci rapportiamo non abbia ancora del tutto compreso il nostro ruolo. Innanzitutto, noi abbiamo svolto un servizio importante per la Valle d’Aosta, abbiamo una percentuale di laureati di prima generazione che è la più alta in tutto il nord ovest. Si tratta dei figli di genitori non laureati, ovvero coloro che culturalmente ed economicamente forse non avrebbero avuto la possibilità di fare un percorso universitario. Ecco, in questo noi siamo stati eccellenti come università.»
Però i dati parlano di un calo di iscrizioni, come se lo spiega?
«In merito a questo, vorrei dire che non c'è stato un reale calo delle iscrizioni. La verità è che c’è stato un picco di iscrizioni durante la pandemia che ha riguardato tutte le università italiane e, finita l’emergenza Coronavirus, i numeri sono calati un po’ ovunque. I circa 100 iscritti in meno sono sostanzialmente dovuti al fatto che abbiamo chiuso un corso di laurea, il corso magistrale in lingue.»
Quindi secondo Lei la situazione è sotto controllo?
«Il problema non sono le iscrizioni. Con i nostri corsi di laurea noi attiriamo pressoché tutti gli studenti valdostani che fanno quella scelta, ovvero chi vuole studiare scienze politiche, economia, psicologia, lingue o scienza delle formazione ed è residente in Valle d’Aosta e difficilmente andrebbe a frequentare lo stesso corso fuori Valle. Quindi intercettiamo pressoché tutta la domanda valdostana e conquistiamo iscritti da altre realtà: il 43 per cento dei nostri attuali iscritti non è residente qui.»
I numeri però segnano un calo e poi, mi consenta, la nostra Università non dovrebbe essere solo per chi abita in Valle d’Aosta. Soprattutto dovrebbe attrarre studenti da fuori, anche per gli evidenti vantaggi che deriverebbero all’economia regionale.
«I numeri sono altalenanti anche perché noi offriamo numerosi corsi che durano un solo anno, come quelli di alta formazione per sanitari, personale scolastico, dirigenti regionali. Pure in questo ambito offriamo un importante servizio al territorio, migliorando le competenze specifiche per professioni diverse. Ad esempio, fra poche settimane aggiungeremo ai nostri iscritti altre 40 persone che frequenteranno il terzo ciclo di percorso che attiviamo per gli insegnanti di sostegno, quindi fra l'altro torneremo a superare i 1.000 iscritti. Durante il picco della pandemica sfioravamo i 1.100 iscritti, mentre ora siamo a 988 e, ribadisco, il calo è dovuto soprattutto alla chiusura di un corso di laurea magistrale. Il punto centrale su cui discutere sulla nostra università non deve essere la situazione degli iscritti, ma lo sviluppo. Un ateneo giovane come il nostro non può stare fermo, deve espandersi: abbiamo voglia e necessità di espanderci, di aumentare ulteriormente questi numeri, come d’altronde era il progetto originario per l’Università della Valle d'Aosta.»
Quindi concorda anche Lei sull’esigenza di proporre qualcosa di nuovo, magari cambiando rispetto all’offerta attuale?
«L’unico modo per espanderci è aprire nuovi corsi di laurea che soddisfino le esigenze del territorio comunque attirando anche studenti da fuori Valle. Bisogna aprire dei corsi attrattivi per l’esterno. Certo non possiamo pensare di organizzare medicina o ingegneria, perché sono corsi di laurea costosi e non potremmo mai essere concorrenziali con altri atenei più grandi e consolidati. Abbiamo formulato una proposta, che è ancora allo studio di fattibilità, per quanto riguarda 2 corsi di laurea nuovi: informatica e scienze della montagna. Stiamo facendo le nostre valutazioni perché sono necessarie sia le risorse che la disponibilità politica. Avevamo proposto inoltre di riaprire scienze dell'educazione e la magistrale di psicologia, anche se il consiglio di amministrazione non ha al momento accettato queste ipotesi. In più, abbiamo in mente pure diverse ipotesi di master.»
Scienze dell’educazione però formerebbe nuovi insegnanti che al momento non sono richiesti dal sistema scolastico valdostano. Il corso di psicologia, la vostra triennale ha 294 iscritti, il numero più alto, a detta di molti è un ripiego per chi in Piemonte non supera i test di ingresso, quindi che senso avrebbe una magistrale di psicologia ad Aosta? Non sarebbe meglio puntare ad altro? Forse è per questo che la politica è scettica rispetto a tali proposte.
«Il compito politico dovrebbe essere quello di valutare quali delle nostre proposte sono funzionali per questa regione e per la nostra università e decidere di investirci. L’assessore all’Istruzione Luciano Caveri ha ribadito diverse volte che vorrebbe aprire un’ampia consultazione con il territorio per valutare quali corsi sono opportuni sia per l’Università della Valle d’Aosta sia per il territorio e questo lavoro deve essere fatto insieme agli accademici che in questa università credono e lavorano. I nostri punti di forza sono la qualità dei corsi di laurea e soprattutto proprio i nostri piccoli numeri. Le persone che vengono a studiare qui si trovano in aula in gruppi ristretti e non in 300 in aule sovraffollate come nelle grandi università. Ci si conosce tutti e c’è un bel clima di solidarietà e di appartenenza. Si costruiscono ottimi rapporti sia con i docenti che con i compagni di studio. Il contesto universitario se è amichevole diventa anche più efficace. Il nostro slogan è appunto “persone e non numeri”. Per noi ogni studente è una persona. Ha più facilità di accesso alle informazioni sia dal punto di vista degli uffici sia per il rapporto con i docenti.»
Cosa manca dunque all’Università della Valle d’Aosta per migliorarsi?
«Risorse. Noi dovremmo puntare sui servizi, dallo studentato alle attività sportive, per rendere migliore la vita degli studenti che scelgono di venire qui. Le famiglie ci mandano i figli perché Aosta è una città bella e non molto cara, siamo lontani dagli affitti di Torino e Milano. Poi c’è anche da dire che è un contesto più sicuro di una grande città e sia le famiglie che gli studenti apprezzano il fatto di non essere solo un numero.»
Ma quindi come mai questa università non riesce a prendere il volo e perché non riesce ad incidere sul tessuto culturale ed economico della Valle d’Aosta?
«Bisogna crederci nell’università, ci deve credere il territorio e ci deve credere anche la politica. Noi abbiamo bisogno di ulteriori risorse, abbiamo un budget molto inferiore rispetto ad altri atenei della stessa grandezza. Bisogna guardare all’Università della Valle d’Aosta con più fiducia e come una risorsa per il territorio. Abbiamo dimostrato di essere un’università di ottimo livello, sia per quanto riguarda la ricerca che per la formazione. Abbiamo dimostrato di essere in grado di rispondere alle esigenze del territorio, vogliamo più fiducia e sostegno, è questo che manca.»
Per concludere rettrice Mariagrazia Monaci, riguardo al nuovo campus nel complesso dell’ex caserma Testa Fochi cosa pensa?
«La nuova sede dell'ateneo rappresenta un’altra sfida, io l'ho visitata e devo dire che è molto bella, anche se al momento è incompleta. Per essere un campus non ci sono spazi per gli uffici e non c’è lo studentato. Non c’è nemmeno la biblioteca. Gli altri 2 lotti, al momento rimandati, dovevano contenere tutto questo. C’è solamente la sede didattica con le aule nelle quali a stento potremo ricavare alcuni spazi per gli uffici indispensabili. Se davvero rimarrà questo l’unico lotto realizzato resteremo sparsi su più sedi in posti diversi della città, come avviene ora.»