«La comunità deve riuscire ad arrivare alla persona prima che sia costretta a chiedere o che sia in povertà»
Finire un 2020 pesante e iniziare un nuovo anno che non pare alleggerire le preoccupazione fa chiedere cosa ci sia da ringraziare. Eppure è proprio nella «Messa di ringraziamento» di giovedì 31, alla vigilia della festa di «Maria Madre di Dio», che il vescovo di Aosta Franco Lovignana (foto) ha invitato ad un atteggiamento più ottimista: «Si può cantare il Te Deum in un anno come questo? - ha chiesto, in modo retorico, all'inizio dell'omelia ed ha risposto - Si deve cantare il Te Deum proprio in un anno come questo. Forse mai come adesso abbiamo bisogno di riconoscere la grandezza di Dio e di aggrapparci ad essa». Il giorno dopo ha offerto un modello da seguire: «Maria ci accompagna con il suo esempio di donna coraggiosa - ha spiegato all'assemblea dei fedeli - che affronta con lucidità e forza d’animo situazioni umanamente difficili: l’inatteso annuncio dell’angelo, la povertà e l’emarginazione di Betlemme, l’esilio all’inizio della vita familiare, il ministero povero e itinerante del figlio, il dolore crudele della croce. In queste situazioni, a volte estreme, ci indica un percorso per l’anno che inizia con tante incognite e apprensione. Ci invita a fare come lei, a fidarci di Dio e a non chiuderci su noi stessi. Il rischio dei tempi difficili, come quello che attraversiamo, è l’isolamento, il tirare i remi in barca. Al contrario la vita di Maria è azione, accoglienza e apertura».
Il messaggio è rivolto a tutti, credenti e non credenti: «Le malattie che colpiscono il nostro spirito, e anche oggi le conseguenze del Covid, sono malattie vecchie quanto l'umanità. Guardare agli antichi aiuta a trovare rimedi ma vorrei, da cristiano, adottare lo sguardo dei primi cristiani: l'Antico Testamento prepara il Vangelo, la sapienza del mondo procede verso il compimento, che è Gesù Cristo. Non disprezziamo niente della sapienza umana, della scienza e della tecnica, ma abbiamo bisogno di riscoprire il Vangelo, credenti e non credenti. Gesù restituisce umanità e dignità perché l'uomo è a sua immagine e deve richiamare l'originale».
Parrocchiani, volontari, associazioni e gli stessi sacerdoti hanno reagito alle restrizioni causate dalla pandemia, trovando nuove vie anche con la tecnologia: «Il discorso della relazione diretta manca a tutti, anche a me. - continua monsignor Lovignana - Ci siamo visti costretti, per salvare la rete delle relazioni all'interno della comunità, ad affidarci a Internet, oltre che alla radio e alla televisione. L'aver utilizzato questo sistema ci ha portati a superato una barriera, un pregiudizio verso questi mezzi. Ora però bisogna fare un passo avanti, di riflessione, da una parte per cogliere le potenzialità e i rischi della rete e dei social, e dall'altra anche per imparare a comunicare in modo nuovo. Questi mezzi sono un linguaggio essi stessi, bisogna imparare a parlare questo linguaggio. Non è mettersi davanti a microfono o telecamera e basta. Bisogna fare un passo avanti. Serviranno incontri o formazioni sul tema». Intanto procede un altro progetto, che era stato lungimirante rispetto alle difficoltà della pandemia: una Casa della Carità che accolga, in cui si nutra attraverso la mensa, si ascolti, e dove ci sia spazio per alloggi anche temporanei. «I lavori purtroppo ci hanno messo molto a partire, bisogna riconoscerlo. - continua il Vescovo - Una volta avviato il cantiere vedo che avanza e abbiamo speranza di vedere presto realizzata la Casa, ne abbiamo bisogno, perché potrà rispondere in modo più organico e dignitoso alle esigenze dei poveri. Dobbiamo creare luoghi di incontro. Mi preme che abbia un'anima di umanità e un'anima di carità: la Caritas e i molti volontari devono essere guidati al rispetto e all'attenzione competente ai bisogni delle persone, ma anche da una relazione e una disponibilità sincera verso coloro che busseranno». «Non sono utenti ma sono persone, fratelli, questo è lo spirito che ci deve essere. - insiste monsignor Lovignana - Ci sono nuove povertà, dovute alla crisi del momento. E' molto difficile entrare in relazione con le persone che vivono questa situazione: dobbiamo pensare che chi è povero in modo costante è abituato a chiedere e molte volte non si fa scrupolo. Ma chi è in questa situazione è in difficoltà e lo dice: "non mi sono mai trovato a dover chiedere, ce l'ho sempre fatta con le mie forze". Servono allora tanto tatto, tanta discrezione, capacità di lettura, e la comunità deve riuscire ad arrivare alla persona prima ancora che sia costretta a chiedere o che sia in grave povertà. L'iniziativa della Caritas per aiutare le piccole attività mi sembra l'atteggiamento giusto: non ti faccio l'elemosina, ma compro il tuo servizio. Dobbiamo recuperare uno spirito di prossimità, che ha anche bisogno di una cultura che ora non c'è più».