La colonia Olivetti di Brusson: in un libro si racconta la storia
Nata negli anni Cinquanta per le vacanze dei figli dei dipendenti dell’Olivetti, la colonia di Brusson passò un po’ inosservata, non tanto perché nascosta tra i boschi della Val d’Ayas, quanto perché non figura tra le più note architetture promosse dalla società di Ivrea, scomparendo quasi nell’onda di piena degli anni del boom.
Fu l’opera prima di due giovani e poco conosciuti architetti milanesi, Leonardo Fiori e Claudio Conte, che furono selezionati dopo un concorso che vide la partecipazione, tra il 1956 e il 1957, di oltre 30 professionisti, tra cui Carlo Scarpa, Marcello D’Olivo e Vico Magistretti. Ora alla realizzazione è stato dedicato il libro “La colonia Olivetti a Brusson - Ambiente pedagogia e costruzione nell’architettura italiana” di Gabriele Neri, edito da Officina Libraria e promosso dall’Archivio del Moderno dell’Università della Svizzera italiana, che grazie a un’analisi approfondita dona alla struttura un posto significativo nella storia dell’architettura italiana del Novecento. Il saggio spazia da un excursus sull’architettura delle colonie di vacanza in Italia al concorso per la colonia Olivetti di Brusson, dal progetto vincitore alla soluzione costruttiva, per concludersi con le sorti della colonia: influenza e trasformazione. Esempio paradigmatico delle politiche sociali di Adriano Olivetti, secondo Gabriele Neri questo edificio rappresenta un caso di studio sotto vari profili: «L’analisi dei progetti in gara offre uno spaccato dell’architettura italiana all’alba del miracolo economico, chiamata a cimentarsi con temi complessi e innovativi. Da un lato, il contesto alpino richiese una profonda riflessione sul rapporto tra architettura e ambiente naturale, negli anni in cui la montagna diventava luogo di villeggiatura di massa. Dall’altro, l’aggiornamento delle teorie educative implicò la ridefinizione di una tipologia - la colonia - che il fascismo aveva caratterizzato a fini propagandistici. La ricerca dell’autonomia del bambino, contrapposta alla concezione massificata dell’individuo, generò un rinnovamento pedagogico che ebbe profondi influssi sull’architettura».
Il progetto vincitore contemperò un approccio attento al contesto, ma anche capace di sperimentare metodi costruttivi all’avanguardia. Nella colonia di Brusson si mise a punto un inedito sistema di prefabbricazione che si ripeterà, ogni volta aggiornato, in numerosi edifici negli anni successivi. Nel progetto si sentono l’influenza dell’architettura scandinava e della cultura industriale. E’ un modello che servirà per successivi cantieri: il Rifugio Pirovano allo Stelvio e soprattutto decine di scuole prefabbricate sparse per l’Italia, meritandosi il Premio Compasso d’Oro nel 1970.
Successivi mutamenti socio-economici e negli indirizzi pedagogici determineranno la progressiva dismissione di buona parte delle colonie di vacanza presenti in Italia, tra cui questa, lasciando spesso senza una funzione ampie strutture dall’evidente valore architettonico. A Brusson è andata meglio che altrove, poiché l’edificio, diventando proprietà della Regione, è stato convertito nel 2010 in Casa per la salute della mente, Centro Dahu. L’involucro dello stabile è rimasto intatto, invece l’interno e gli spazi esterni hanno subito radicali trasformazioni, oltre alla distruzione degli arredi originali.