L’ipotesi del passaggio di Carema dal Piemonte alla Valle d’Aosta continua a far discutere “Che valore ha oggi un referendum di ormai undici anni fa? Tante cose sono cambiate”
Continua a far discutere l’ipotesi del passaggio di Carema dal Piemonte alla Valle d’Aosta. Sull’argomento pubblichiamo la riflessione di un lettore residente proprio a Carema.
«Perché tanta euforia? Premesso che quello del passaggio di Carema alla Valle d’Aosta è un discorso portato avanti dal nostro primo cittadino, è d’obbligo porsi una domanda: che valore ha oggi un referendum di ormai undici anni fa? Se nelle riunioni di avvicinamento al referendum del 2007 vi era una forte partecipazione, nell’assemblea pubblica di giovedì 4 gennaio scorso erano presenti - escludendo i consiglieri comunali e i loro famigliari, i giornalisti e gli invitati delle varie associazioni - circa 7-8 persone.
Undici anni fa in Bassa Valle e a Pont-Saint-Martin non si parlava di crisi; oggi ci sono diversi negozi chiusi, altri sono sofferenti, sono diminuiti gli artigiani, le grandi e medie imprese riducono il personale. Nel settore agricolo, i pagamenti dei contributi sono ritardati e ai Psr si accede solamente se si hanno disponibilità finanziare. Il trasferimento in Valle d’Aosta sarebbe tutt’altro che indolore, non solo per il semplice cittadino, ma in particolare per chi possiede un’attività: chi si assume gli oneri per cambio indirizzi, sostituzione documenti, tessera sanitaria, volture libretti auto, e mezzi da lavoro? Siamo poi così sicuri che i Caremesi siano contenti di cambiare il medico? Entrambe le Asl funzionano benissimo, ma non dimentichiamo che l’ambulanza arriva prima al Pronto Soccorso di Ivrea.
Sono da considerare privilegi di tutto rispetto, per esempio, indennità di bilinguismo, tasse e assicurazioni automobilistiche, bonus riscaldamento, Irpef ridotta su pensioni, tasse scolastiche e costo dei libri e aiuti sulla casa, che contribuiscono ad un tenore di vita un po’ più facilitato; ma spesso il tutto viene assorbito da un costo della vita più oneroso e da affitti e/o oneri abitativi più pesanti. Insomma, dato che la situazione non è poi così rosea e fiorente, sarebbe più trasparente una nuova espressione del popolo caremese con nuovo referendum.
Altro argomento: il patois. Questo non è mai stato parlato nel territorio rapinato a Carema nel lontano 1929 a vantaggio di Pont-Saint-Martin, nella frazione Airale e nella parte bassa di Carema; era dialetto ufficiale della parte alta del paese e delle borgate di montagna. Seppur di origini francofone, non c’entra nulla con Pont-Saint-Martin e con la borgata di Ivery e per i pochi che ancora lo parlano è difficile trovare delle controparti per conversare.
Riguardo ai confini tra i due Comuni, se quello attuale è illogico nella tratta da Montiglieri, Prati Nuovi, San Rocco, Ivery, Prasignore a Monte dell’Orso (i residenti di Ivery hanno proprietà su Carema e viceversa, altri fondi sono stati divisi in due ecc.), lo stesso problema vale per i confini tra Carema e Settimo Vittone, quindi, con un evidente effetto domino, occorrerebbe annettere anche una parte di Settimo Vittone e, considerando la chiusura naturale dei confini valdostani, anche gli altri Comuni della ex Comunità montana Dora Baltea e Borgofranco d’Ivrea.
La mia opinione è che i problemi siano altri. Carema si è rifatta il look in pochi anni e di questo bisogna dare merito all’Amministrazione, ma è altrettanto vero che questo enorme impegno di spesa non ha creato posti di lavoro e Pil. La sopravvivenza del territorio di Carema è legata a priorità su cui occorre investire nell’immediato futuro: serve un riordino fondiario dei vigneti, rivedere la viabilità rurale, realizzare un impianto irriguo ad hoc per i terrazzamenti vitati, rifare l’esistente dedicato a prati e giardini, interconnettere le strade di montagna, il tutto con iter autorizzativi meno vincolanti. Insomma servono fondi che forse dalla Regione Piemonte non arriveranno mai, ma non per questo dobbiamo abbandonarla e fonderci con Pont-Saint-Martin che, ormai saturo e ricco di strutture, non aspetta altro che espandersi e proseguire la cementificazione del suolo su Carema, che è un paese agricolo e tale deve restare.
Sia per il Piemonte che per altre Regioni italiane serve un drastico taglio della spesa pubblica. Se dall’alto non lo faranno mai, occorre farlo dal basso con azioni efficaci quale l’accorpamento dei Comuni. Il proclamato timore di unire più debolezze nasce da una malattia non facilmente curabile: il campanilismo. Più debolezze fanno una forza, il problema è che occorre un drastico restyling dell’attuale sistema amministrativo territoriale, un Piemonte autonomo con pochi Municipi (da 1200 circa a 120-150), inserito in un sistema in cui tutte le Regioni italiane siano autonome».