L’avventura di Adriano Olivetti in un incontro a Gressoney

L’avventura di Adriano Olivetti in un incontro a Gressoney
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Una biografia empatica, ma non agiografica. E’ stato presentato il saggio di Paolo Bricco «Adriano Olivetti Un italiano del Novecento» (Rizzoli) nel corso dell’ultimo incontro della rassegna Estate Letteraria promossa dalla Biblioteca Walser, evento che giovedì scorso, 18 agosto, ha visto la partecipazione di 170 persone. La serata è stata introdotta da Massimo Ferrari, ordinario di Storia della filosofia all’Università di Torino e direttore della Biblioteca di Gressoney-Saint-Jean. A dialogare con l’autore Bruno Lamborghini ex capo dell’Ufficio studi Olivetti ed ex presidente dell’Archivio storico Adriano Olivetti. Bricco, nato e cresciuto a Ivrea, che ha al suo attivo due precedenti saggi sul tema - «L’Olivetti dell’Ingegnere 1978-1996» (Il Mulino, 2015) e «Olivetti prima e dopo Adriano» (Ancora del Mediterraneo, 2005) - ha spiegato le ragioni che lo hanno portato a scrivere un terzo libro, dopo 10 anni di ricerca negli archivi italiani, in particolare nelle carte dell’azienda e della famiglia, nell’archivio centrale di Stato a Roma, nell’archivio di Mediobanca e Imi, e dopo 3 anni di scrittura. «La ragione culturale è stata confrontarmi con la figura di Adriano incontrata scrivendo i libri precedenti» dichiara l’autore. «E’ incredibile come l’Olivetti sia stata da lui plasmata. La ragione personale è stata misurarmi con una realtà industriale che avevo ben conosciuto a Ivrea. Ho deciso di collocare Adriano nella storia, provando a estrarlo dal mito, facedolo emergere nella sua umanità, con le sue contraddizioni e nel suo rapporto conflittuale con la famiglia, che osteggiava per esempio la sua idea di costituire una fondazione alla quale conferire l’attività dell’azienda». Nel libro si fa cenno al fatto che negli anni Trenta fosse perfettamente integrato nella società fascista dal punto di vista culturale e imprenditoriale e si racconta la sua straordinaria attività di imprenditore e di organizzatore culturale tra il 1945 e il 1960. «Tutto ciò che ho scritto è documentato e ho utilizzato il metodo della doppia e tripla testimonianza» conclude Paolo Bricco.

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