JEAN AMÉRYINTELLETTUALE A AUSCHWITZ

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La testimonianza e le riflessioni che Jean Améry ha consegnato alla storia con Intellettuale a Auschwitz ne fanno un testo capitale per la comprensione dell'univers concentrationnaire. Il testo è terribilmente attuale per alcune questioni che solleva. Ne voglio ricordare tre che mi paiono particolarmente significative. Coloro che definiamo “intellettuali”, ovvero gli uomini di libero pensiero, di cultura, gli assertori dello spirito critico, si trovano in una posizione fragile quando confrontati a una condizione allo stesso tempo irrazionale, di estrema violenza e di riduzione dell’intero cosmo a una dimensione fisica, di pura sopravvivenza, di banalizzazione della morte e dunque della vita. Coloro che hanno una fede religiosa o una incrollabile fede politica, fenomeni peraltro simili e paralleli, sembrano trovarsi invece in una condizione più forte che aiuta a sopportare le torture, le privazioni, le umiliazioni e la morte. Come dice lo stesso autore: «... non volevo far parte della loro schiera, della schiera dei compagni credenti, ma avrei desiderato essere imperturbabile, tranquillo, forte come loro». Molto interessante è anche la domanda «di quanta patria l’uomo ha bisogno?». Questione che può apparire circoscritta ma non lo è affatto. La “Patria” è un luogo fisico, ma non solo. Come dice lo stesso Améry, «bisogna avere una Heimat [patria] per potervi rinunciare». Per un ebreo europeo la nozione di “Patria” sembra sgretolarsi nel corso della prima metà del Novecento: una Patria mai realmente posseduta. Quest’opera tocca anche il tema della colpa collettiva, tema troppo vasto per trovare spazio nella nostra breve rubrica e che eppure non può essere eluso. La questione, tuttora aperta, della colpa collettiva e delle responsabilità individuali è stata spesso evocata nel corso degli anni e riferita quasi esclusivamente alla società tedesca; in realtà il problema non coinvolge la sola Germania ma l’intera Europa, che dopo la Seconda Guerra mondiale ha collettivamente tentato una vasta operazione di rimozione e autoassoluzione. L’assordante silenzio dell’Europa, in troppi momenti della storia mediorientale di questi anni, non è estraneo a questa mancanza di collettivo senso di responsabilità. Per dirlo ancora con le parole di Améry: «... il mondo che perdona e dimentica ha condannato me, non coloro che commisero o non impedirono l’omicidio. Io e quelli come me siamo moralmente condannabili agli occhi dei popoli e già defraudati della nostra libbra di carne».

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