Incontri 5. Daniela Fornaciarini. By: un futuro che viene dalla storia

Incontri  5. Daniela Fornaciarini. By: un futuro che viene dalla storia
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Giornalista, per molti anni responsabile dei servizi di approfondimento della Radiotelevisione svizzera di lingua italiana, dove si è occupata in particolare di culture alpine, Daniela Fornaciarini è stata membro della commissione del Consiglio di Stato della Repubblica del Canton Ticino per la promozione della donna e redattrice dei progetto Interreg Media-Alp ed Eventi in rete. Erede della casa e degli alpeggi di By di Paul-Alphonse Farinet ne ottiene la piena proprietà nel 2005 e decide di riattivare l’alpeggio, produrre formaggi di qualità e far rivivere le antiche tradizioni di ospitalità della casa.

Daniela, perché questa scelta, complicata, costosa, controcorrente?

«Una scelta inevitabile, coerente con quanto la vita ha messo sul mio percorso. A By ho imparato a camminare, dalle bisacce dei muli di Gino, Elio e Camillo, ai sentieri che il mio passo di bambina e di adolescente mi portavano “lontano”. By mi ha insegnato a vivere nel rispetto dell’altro, chiunque esso fosse e facesse. Un’infanzia vissuta per quattro mesi all’anno fra persone che dalle lacrime e dalle sofferenze della seconda guerra mondiale seppero partecipare alla ricostruzione dell’Italia democratica. Allora li vivevo tutti e tutte come amici di famiglia. Il Presidente della Repubblica Italiana, Luigi Einaudi, il Presidente dell’Accademia dei Lincei, Benjamino Segre, il dentista di Papa Pacelli, Andrea Benagiano, i giudici del Tribunale federale svizzero, André Panchaud, Plinio Bolla, e tanti altri abituali frequentatori di Casa Farinet. Per me erano persone con le quali dovevo comportarmi in modo educato, ma avevo conquistato il diritto di stare con loro. A passeggio mi prendevano per mano. Avevo maturato un ascolto profondo e potevo anche porre delle domande. La mia famiglia, oltre a una casa molto ospitale, possedeva un alpeggio (96UBi -160h pascolabili). E i fittavoli che se ne occupavano (Julien e Pascaline Jotaz, lui sindaco di Ollomont) per me erano persone che mi prendevano pure per mano, anzi in braccio, molto spesso. E con loro stavo altrettanto volentieri e sopratutto li osservavo molto nel loro lavoro che a me sembrava bello quando ero al pascolo con le mucche, ma difficile quando si trattava di mungere, produrre la fontina o pulire le stalle. Anni dopo, un testamento mi portò l’alpeggio e Casa Farinet. Era così che doveva essere. Ora toccava a me con una premessa: un bene non è solo un diritto, un possesso, ma un dovere per il passaggio alle generazioni successive. Significava progettare, ricostruire e aprirsi a una visione che non fosse solo mercato, ma la somma di saperi e di rapporti che considerassero l’alpeggio e le sue attività come parte di un discorso territoriale più ampio che tocca il cambiamento climatico e l’intersecazione delle attività umane».

Quali difficoltà, quali aiuti? Quali soddisfazioni e quali dolori?

«Doloroso ma necessario fu il cambio dei fittavoli, ma le mie attese non corrispondevano ai risultati. La ricostruzione dell’alpeggio è durata circa tre stagioni ed è stato prioritariamente seguito dal mio compagno, Claudio Gianettoni, con professionisti già competenti in questo campo. Mi sentivo tranquilla. Importante il sostegno finanziario della Regione in ragione del 75 per cento a fondo perso. E pure importante quello del sindaco di Ollomont, Joël Creton e di parte della sua giunta, con l'assessore alla cultura Simona Oliveti e la Pro loco. Abbiamo sviluppato a By degli eventi culturali con un buon riscontro di pubblico e di media. Fatto fondante come socia della ARPAV: con i miei attuali fittavoli (Marilena Yeuilla e Aurelio Cretier) abbiamo introdotto la produzione di fontina Dop senza integratori per un mese su quattro di lavoro. Sostanziale l’apporto tecnico scientifico dell’Institut Agricole Régional e di Mauro Bassignana che hanno eseguito dei rilevi vegetazionali sui pascoli dell’alpeggio. Ci sono alcuni fatti da riguardare, ma l’esperienza in sé è solo da continuare».

Può la montagna diventare autosufficiente, produttiva, ridiventare attrattiva anche come luogo di abitazione e di lavoro e non solo come parco divertimento cittadino?

«Oltre a tutta la discussione in atto sui fondi e sui finanziamenti (200 milioni per il ripristinato Fondo Nazionale della Montagna) e su possibile legge e “Manifesto della Montagna, vorrei si parlasse di Montagne e non di Montagna nel rispetto delle diverse culture che si intersecano nell’Arco alpino e negli Appennini. Questo permetterebbe alle popolazioni locali di sentirsi maggiormente responsabili se potessero riconoscersi nella loro cultura. Insomma dal patois al deutch uniti nel rispetto delle diversità. Parco di divertimento cittadino? Già, ma quale ruolo gioca la pubblicità, spesso troppo colorata, superlativa e non sempre responsabile delle conseguenze di quanto propone a chi di montagna sa poco, se non di vestibilità modaiola».

Che futuro vedi per la conca di By? Di cosa ha bisogno la montagna rimasta ai margini del domaine skyable?

«Rispondo per l’Alpeggio e Casa Farinet. Sono in movimento con un consolidamento di quanto in atto e con una partecipazione di altri soggetti più giovani al Progetto. In generale sarebbe opportuno costruire una relazione più vicina fra abitanti e istituzione del luogo per sviluppare modelli di turismo non invasivo e di riconoscimento delle presenze esterne stagionali non solo come risorsa finanziaria. Usare in modo intelligente i social per creare una rete continua di scambio di informazioni? Potrebbe essere un primo piccolo passo che allarga la conoscenza reale del “Chez Nous”. Concludo: tutte le persone che mi sono accanto in questo Progetto hanno due tratti in comune, la passione nel fare il proprio lavoro e l’amore concreto per la proprio terra, per la montagna che vive in noi nel quotidiano. Grazie, è per questo che c’è un inevitabile futuro».

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