Inchiesta Geenna, il secondo processo d’Appello sarà celebrato a novembre

Inchiesta Geenna, il secondo processo d’Appello sarà celebrato a novembre
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Sarà celebrato mercoledì 15 novembre, davanti ai giudici della terza Sezione della Corte d’Appello di Torino, il nuovo processo di secondo grado per gli imputati che avevano scelto il rito ordinario nel processo Geenna, nato da un’inchiesta sulle presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta in Valle d’Aosta.

Perciò sul banco degli imputati vi saranno nuovamente il ristoratore aostano Antonio Raso, i dipendenti del Casinò di Saint-Vincent Nicola Prettico e Alessandro Giachino, accusati di associazione di tipo mafioso, oltre alla ex assessora di Saint-Pierre Monica Carcea, accusata di concorso esterno in associazione mafiosa.

Il procedimento giudiziario deriva dalla decisione della Corte di Cassazione, risalente a martedì 24 gennaio scorso, di annullare le condanne a carico degli imputati rinviando ad una diversa sezione della Corte d’Appello per un nuovo processo Per la cronaca ad Antonio Raso erano stati inflitti 10 anni, a Nicola Prettico e ad Alessandro Giachino 8 anni a testa e a Monica Carcea 7 anni.

Il blitz nel 2019

Arrestati nel blitz dei Carabinieri del 23 gennaio 2019, coordinato dalla Dda di Torino, gli imputati sono stati scarcerati venerdì 31 marzo, dato che fino ad allora risultavano detenuti, mentre a Monica Carcea erano stati revocati gli arresti i domiciliari. Così tutti potranno partecipare alla nuova udienza a piede libero. Una locale della ‘ndrangheta in Valle d’Aosta? Le motivazioni della sentenza con cui la Corte di cassazione, nell'ambito del processo Geenna con rito ordinario, ha annullato con rinvio le condanne inflitte in secondo grado sollevano molti dubbi. Per associazione mafiosa erano stati inflitti al ristoratore aostano Antonio Raso 10 anni, all'ex consigliere comunale di Aosta Nicola Prettico e all'ex dipendente del Casinò di Saint-Vincent Alessandro Giachino 8 anni ciascuno a entrambi e per concorso esterno all'ex assessora comunale di Saint-Pierre Monica Carcea 7 anni.

Nella stessa occasione, la Cassazione aveva reso definitiva l’assoluzione, dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, dell’ex consigliere regionale Marco Sorbara, pronunciata dalla Corte d’Appello di Torino il 19 luglio 2021, dopo una condanna a 10 anni di reclusione in primo grado nel settembre 2020, dinanzi al Tribunale di Aosta. Secondo la Cassazione, perciò, la sentenza d’Appello «Finisce per fare riferimento a elementi riconducibili solo ad atti, meramente preparatori, diretti alla formazione di una associazione per delinquere di stampo 'ndranghetistico».

A tutto ciò, secondo i magistrati della suprema Corte, va aggiunto che «Le vicende di maggior risalto emerse nel processo dimostrano la sussistenza di meri rapporti di forza diversi tra soggetti gravitanti nello stesso ambiente di sottocultura criminale, non certo la capacità di promanare all'esterno la tipica forza d'intimidazione, che caratterizza un'organizzazione strutturata come la 'ndrangheta». Insomma, secondo i i giudici della quinta Sezione penale manca sia una divisione di ruoli ben precisa sul modello tradizionale calabrese sia «Il riferimento a un episodio così significativo per ritenere sussistente il collegamento funzionale con la 'ndrina operante in Calabria». Non è tutto. Per la Cassazione le argomentazioni dei giudici di secondo grado sono «Illogiche e carenti nella parte in cui fanno riferimento a un “programma” ma indicano solo fatti singoli». A tal proposito viene precisato che «Affinché quella “fama criminale” possa essere fatta derivare dalla “spendita del nome” della 'ndrangheta calabrese, occorre che si provi che il tessuto sociale di riferimento (lontano dalla Calabria), anche in assenza di specifici “atti intimidatori”, sia automaticamente in grado di recepire i messaggio che quel collegamento evoca».

Nelle motivazioni della Cassazione si legge ancora che è «Evidente la necessità di un annullamento della sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte territoriale, perché si provveda a colmare le suindicate lacune motivazionali, tenendo conto, in via prioritaria, che in un caso come quello in esame, nel quale l'atteggiamento intimidatorio non ha mai assunto connotazioni esplicite, tantomeno spettacolari, non si è mai estrinsecato nella commissione di reati tipicamente e tradizionalmente ricollegati al fenomeno mafioso (omicidio, estorsioni, minacce, danneggiamenti…), e neppure ha portato alla condanna degli imputati per “reati-scopo” di qualsivoglia natura, è evidente che le azioni compiute dai componenti l'associazione possono essere considerate rilevanti sotto il profilo della loro capacità di integrare l'elemento costitutivo del “metodo mafioso”, in quanto possano essere ritenute di per sé evocative della fama criminale dell'associazione stessa».

Il processo con rito ordinario

L’altro ramo processuale nato dall’inchiesta Geenna, quello degli imputati che hanno scelto il rito abbreviato, è già giunto a giudizio definitivo. La Cassazione, giovedì 20 aprile scorso, ha confermato le condanne per associazione di tipo mafioso di Bruno Nirta, Marco Fabrizio Di Donato, suo fratello Roberto Alex Di Donato e Francesco Mammoliti. Alcuni di loro, arrestati anch’essi nel 2019, hanno concluso di scontare la pena e sono, nel frattempo, usciti dal carcere.

Per la Suprema Corte, in quel caso, il giudizio svoltosi con rito abbreviato (basato cioè solo sul fascicolo processuale e non sul contradditorio in aula) ha consentito di dimostrare che «La plurisoggettività organizzata (ancorché a ristretta base sociale) di satelliti ‘ndranghetisti traslati in territorio valdostano (anche da più di una generazione) ha ivi replicato (dal 2014) un modello mafioso che si avvale dell’assoggettamento omertoso per controllare un determinato territorio e le attività (lecite o illecite) che in quel territorio hanno luogo».

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