In pensione Edi Chenal, guardaparco del Gran Paradiso “Lascio un mestiere ideale solo per chi ha grande passione”

In pensione Edi Chenal, guardaparco del Gran Paradiso “Lascio un mestiere ideale solo per chi ha grande passione”
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Giovedì 31 dicembre scorso Edi Chenal ha vestito per l’ultima volta la divisa da agente del corpo di sorveglianza del Parco del Gran Paradiso. A cinquantotto anni è andato in pensione. “Sono contento, quello che ho tagliato è un traguardo importante. Però in questi quattordici anni di servizio ho imparato molto sulla natura che mi circonda e su me stesso. Questo è il mestiere più bello del mondo, a condizione di essere capaci di stare da soli con se stessi”.

Quasi tre lustri

in Valsavarenche

Edi Chenal, dal 2008 presidente dell’associazione regionale del fiolet, non è stato sempre un guardaparco. Anzi, conti alla mano è arrivato a questa professione a quarant’anni suonati. “Prima lavoravo a Sarre, come cantoniere del Comune. Sono stato lì per ventiquattro anni: un’occupazione appagante e comoda, soprattutto per uno come me che abita a pochi minuti di macchina dal Municipio”.

Edi Chenal alla comodità di un impiego praticamente sotto casa ha però preferito l’avventura. “Nel 2006 ho superato il concorso di mobilità e sono stato assunto dal Parco. La mia vita è cambiata radicalmente, perché ho ritrovato la montagna che amavo da piccolo e ho potuto immergermi al cento per cento nella natura. Quelle che prima erano passioni da coltivare nel tempo libero sono diventate il quotidiano delle mie giornate lavorative”.

La sua vallata è stata fin da subito la Valsavarenche, che dopo quasi tre lustri di servizio conosce a menadito. “Ho iniziato dal Nivolet, poi dopo un anno sono passato al controllo della zona dei rifugi Chabod e Vittorio Emanuele. La parte centrale della mia carriera l’ho trascorsa a Orvieille, dormendo nel casotto di caccia che una volta ospitava il Re e partecipando attivamente al progetto di studio sulle marmotte”. Edi Chenal ha poi continuato la sua “discesa” della vallata: negli ultimi tempi è stato dislocato più in basso, tra Maisoncle, Arpilles di Introd e Poignon di Villeneuve.

“Sono sempre andato in montagna e non potevo che apprezzare la situazione in cui mi ero ritrovato. Andando in pensione affiorano i ricordi di una parte importante della mia vita”. Momenti belli e altri meno, “Anche se le storie che sentivo dalle guardie di una volta io non le ho vissute. Certo, non tutti i giorni c’è bel tempo e anche quando piove bisogna fare i propri giri, controllare la zona che ti è stata affidata. Può essere pesante, quando fa freddo: credo però che una persona che vuole fare questo mestiere lo metta in conto. Di fatto, vieni ripagato dalle belle giornate, da panorami mozzafiato, da incontri che pian piano vengono a far parte del tuo quotidiano ma che la prima volta sono eccezionali”.

Ad esempio il lupo. Se oggi incrociarne un esemplare non fa più notizia, “Nel 2008 non era così. Ricordo bene anche le nottate passate a controllare i gipeti, quando la loro reintroduzione nel Parco era ancora un semplice progetto e non la realtà di oggi”. Senza dimenticare le lezioni di educazione ambientale nelle scuole, la cattura degli stambecchi per il monitoraggio, i censimenti e tante altre attività effettuate insieme ai colleghi, “Che con il tempo sono diventati amici e che ringrazio per la loro collaborazione”.

Alla luce di questa esperienza di cosa c’è bisogno, per affrontare una carriera da guardaparco? “Di essere in pace con se stessi. Se ti porti appresso i problemi finiranno per diventare più opprimenti, perché passi tanto tempo da solo e bisogna avere la testa giusta per affrontare una situazione che per certi versi è anomala. Deve essere una scelta di vita, non una semplice occasione di lavoro: nel 2006, quando lasciai l’impiego in Municipio a Sarre, lo feci consapevole di quanto mi aspettava. La mia situazione familiare mi ha certo facilitato: non sono sposato, non dovevo e non devo rendere conto a nessuno delle giornate trascorse tra le mie montagne. Quindi mi sentio di suggerire ai giovani di provare a fare questo mestiere, che porta grandi soddisfazioni”.

Nei suoi quattordici anni di servizio Edi Chenal ha avuto a che fare con ogni sorta di situazione legata alla salvaguardia di un’area naturale unica al mondo. “Verbali? Soprattutto ai visitatori del Parco. Capisco che il turismo sia un veicolo fondamentale per la crescita dell’Ente e del territorio, però ho notato spesso che chi arriva nel Gran Paradiso sa poco o nulla del luogo in cui è arrivato. Si passeggia con i cani e si campeggia dove non è consentito, si abbandonano ancora i rifiuti nei prati. Il buonsenso basterebbe a evitare tanti di questi problemi, laddove non ci si arriva da soli una lettura al regolamento del Parco toglierebbe tanti dubbi. Altri problemi, come il bracconaggio, fanno parte del passato”.

Edi Chenal è molto sensibile al tema della caccia: due anni fa ha rinnovato il permesso che aveva messo da parte quando iniziò il suo nuovo lavoro. “Più che una questione etica la mia era stata una scelta affettiva. Vivendo tutti i giorni in mezzo agli animali cacciarli nel periodo autunnale era diventato difficile”. Poi, però, qualcosa è cambiato. “Non è mica una guerra, è una pratica rispettosa della natura. Ho sempre amato i cani da traccia, ho svolto il mio servizio per il Parco prima con York e adesso con Zoe, due segugi di Hannover. Il loro aiuto è stato sempre prezioso anche al lavoro: sono animali capaci di seguire le tracce di sangue, più di una volta mi hanno permesso di soccorrere degli animali feriti”.

Adesso Edi Chenal cosa farà? “Coltiverò ancora la passione per la natura e per i cani, sperando di potermi dedicare il prima possibile anche allo sci alpinismo. A novembre sono stato riconfermato alla presidenza regionale del fiolet: ecco, metterò a disposizione dell’associazione più tempo rispetto a prima”.

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