In discesa senza freni: la vita tutta adrenalina di Pietro Perrod, specialista del Kilometro Lanciato
I cambiamenti climatici sono sotto gli occhi di tutti. I ghiacciai si ritirano, basti solo pensare alla notizia appena diramata dal Parco del Gran Paradiso in merito al ghiacciaio dell’unico Quattromila interamente compreso in territorio italiano che ha perso 210 metri rispetto al 2021. E che dire di Plateau Rosa, spoglio della sua bellezza bianca che ha negato il piacere di sciare in alta quota ai moltissimi appassionati della stagione estiva? Ma che, soprattutto, ha negato proprio per la mancanza di neve, lo svolgimento delle gare di Coppa del Mondo di discesa libera sia femminile sia maschile, in programma tra Zermatt e Breuil Cervinia l’ultimo fine settimana di ottobre e il primo di novembre.
Proprio quel Plateau Rosa che ci riporta indietro nel tempo, ai primi anni Settanta, nel periodo d’oro del Kilometro Lanciato, il KL, ospitato a Cervinia dal 1963, con suoi protagonisti che all’epoca sembravano «marziani», pazzerelli ed incoscienti, capaci di affrontare un pendio vertiginoso e di sfrecciare sugli sci a velocità estreme nell’arco di pochi secondi, conquistando un record dopo l’altro.
Tra quei «marziani» era esattamente nel settembre di cinquant’anni fa Pietro Perrod, giovane atleta del Gruppo Sportivo Fiamme Gialle nato il 6 novembre 1951 al Verrand, il famoso villaggio di Pré-Saint-Didier all’entrata di Courmayeur, lungo la vecchia strada nazionale. Pur abitando a Predazzo in Trentino dove lo portò lo sci e dove vive attualmente con la moglie Daniela Dellantonio, sposata dall’11 settembre 1976 e dove ha cresciuto i figli Consuelo del 1979 e Luca del 1985, Pietro Perrod è rimasto molto legato al suo luogo di origine. «Verrand è stato il mio mondo fino a quando ho frequentato la terza elementare, poi la mia famiglia si trasferì a Courmayeur dove conclusi le elementari. Fine! Sì, perché di continuare a studiare non ne volli più sapere. Avevo altro per la testa, seppure fossi molto piccolo. Preferivo correre all’aria aperta sia con il bel tempo sia con la neve. Non mi interessavano i libri e poi sempre mi chiedevo… se tutti studiano, chi è che poi lavora? In pratica, mi davo sempre la stessa risposta e fu così che i miei genitori mi assecondarono, tanto all’epoca il proseguimento della scuola non era un obbligo.»
Pietro Perrod è il terzo dei cinque figli di Lino Perrod, classe 1915 ed del villaggio La Balme di Pré-Saint-Didier, appena prima di La Thuile, e di Pierina Pavone, nata nel 1914 ed originaria di La Saxe a Courmayeur. Lui, lavorava nelle miniere di antracite proprio a La Thuile e quando si conobbero lei, rimasta orfana da giovanissima, faceva la donna delle pulizie nella casa dei Pirelli, i signori dei pneumatici che nel 1872 fondarono a Milano la società che un anno dopo costruì in Italia il primo stabilimento per la produzione di articoli in gomma. Una storia lunga ed importante quella della famiglia milanese legata all’epopea brasiliana del caucciù, frequentatrice di Courmayeur come tante altre famiglie di rilievo nella storia dell’economia italiana, ma pur sempre un'altra storia, mentre il nonno materno di Pierina Pavone, Joseph Gadin, come racconta Pietro Perrod «Era una guida alpina molto istruita che parlava, oltre l’italiano il francese, anche l’inglese. Fu una delle guide che nel 1890 accompagnò in cima al Monte Bianco Achille Ratti, il futuro Pontefice Pio XI».
Dall’unione tra Pierina e Lino sono nati, prima di Pietro, nel 1939 Antonietta, nel 1944 Cecilia e nel 1949 Adriana, quindi nel 1958 a completare la famiglia ecco Jean François Perrod.
Con Pietro Perrod ricordiamo Courmayeur degli anni Cinquanta e Sessanta. «Noi ragazzi vivevamo con spensieratezza e felicità, fatta di giochi per le stradine del paese a giocare a guardie e ladri, a nascondino, con le biglie che facevamo scorrere sul terreno con uno schiocco di dita. Ma erano anche i tempi in cui d’estate si andava felici ad aiutare gli adulti a rastrellare i prati e a fare i fieni e ti portavi addosso per giorni e giorni il profumo della terra e dell’erba appena tagliata. Non c’era famiglia di montagna che a quei tempi non avesse le mucche e questo valeva anche per mio nonno paterno Pietro che, a La Balme, ne teneva qualcuna nella stalla sotto casa. Ricordo che a fianco della stalla e della casa erano il fienile e la crotta dove il nonno conservava il formaggio.»
Gli occhi azzurri di Pietro Perrod lasciano intravedere il piacere di rammentare quei tempi e di come si fosse avvicinato allo sci, tempi «Che sembrano così lontani, ma che sono parte della vita da sempre. Erano i primissimi anni Settanta. Io ero un giovane atleta che sciava bene e a quattordici anni gareggiavo in slalom gigante già con i punteggi per la prima categoria. Facevo parte dello Sci Club Courmayeur e a diciotto anni, pur avendo una proposta dal Centro Sportivo Esercito degli Alpini, fui adocchiato e accalappiato dai tecnici delle Fiamme Gialle, che mi notarono nelle varie competizioni e mi fecero la proposta di entrare come atleta nella Guardia di Finanza. In tutta sincerità, accettai perché, oltre alla carriera sportiva che prima o poi sarebbe finita, intravedevo la possibilità di guadagnare uno stipendio mensile che mi avrebbe permesso di crearmi un futuro».
Pietro Perrod riporta il suo pensiero al padre Lino che gli ha trasmesso la passione per la montagna e per lo sci. «Già mio papà sciava come tutti quelli de La Balme, dove furono decine i grandi atleti che hanno fatto la storia degli sport invernali, e mi aveva trasmesso il gene della montagna e della voglia di sciare. Fu lui a costruire per me, quando ero ancora molto piccolo, i primi sci in legno. Ancora oggi non dimentico quel piacere immenso che provavo scivolando sulla neve. Con gli amichetti di Courmayeur avevamo anche costruito un piccolo trampolino dal quale ci lanciavamo per arrivare a fine corsa, quasi sempre, con il sedere per aria tra una risata e l’altra. Crescendo me la cavavo piuttosto bene sugli sci ed entrai a fare parte molto giovane della squadra Asiva di sci alpino. Quando nel 1970 fui preso in carico dalle Fiamme Gialle, ricordo che l’allenatore di allora era il maresciallo Agostino Michielini, uomo tutto d’un pezzo che dava molto, ma pretendeva anche un grande impegno e assoluta serietà da parte di noi atleti. Ogni anno a Breuil Cervinia, nel mese di novembre c’era il raduno per i primi allenamenti sulla neve, ma le piste le dovevamo condividere con svizzeri, francesi, svizzeri, belgi, tedeschi delle varie squadre di club o nazionali. Con me in squadra nella Finanza erano Pino Meynet di Cervinia del 1949 e Franco Bieler di Gressoney del 1950. Mio compagno nelle Fiamme Gialle, nonché coscritto, anche se è nato a fine febbraio, era Gustav Thöni già un talento del quale poi abbiamo ammirato le eccezionali prestazioni sportive sulle piste di tutto il mondo. Il Kilometro Lanciato non faceva ancora parte della mia attività sportiva, ma dallo sci di discesa alla velocità estrema il passo fu davvero breve.»
La storia del Kilometro Lanciato è anche la storia di uomini semplici, con tanta voglia di fare qualcosa per affermare la propria crescita personale. Furono atleti straordinari, con le attrezzature del tempo, studiando e sperimentando sci, tute, scarponi ed attrezzature di ogni tipo, qualsiasi cosa per guadagnare qualche centesimo, su di una pista difficile, sotto gli occhi del primo recordman dello sci, il grandissimo Leo Gasperl, una vera icona che aveva accompagnato la nascita di Cervinia come stazione intrenazionale, e di altri personaggi eccezionali, come l’abetonese Rolando Zanni, che avevano casa a Cervinia.
Pietro Perrod ha conosciuto questi uomini e con questi uomini si è confrontato. Già, perché lui, il ragazzo del Verrand che non ha voluto studiare, sognava sin da piccolo un mondo fatto di neve e di discese vertiginose. Diventato grande, ha poi indossato la divisa della Guardia di Finanza sino alla fine del 1994, l’anno della pensione, occupandosi di soccorso in Trentino. Ma ciò che gli è rimasto dentro e che oggi racconta con emozione è l’amore continuo per la montagna che, oltre a farlo diventare un uomo del KL, gli ha offerto anche l’opportunità di essere guida alpina, frequentando nel 1974 uno dei primi corsi di alpinismo sotto la guida di maestri dal nome importante nella storia valdostana, come Marcel Bareux, René Petigax e Walter Grivel.
«Tra tutti, sono impossibili da dimenticare Franco Garda e Renzino Cosson - sottolinea Pietro Perrod -, i padri del Soccorso alpino valdostano. Comunque per tornare al KL, ricordo che fu proprio il mio collega della Finanza, l’ossolano Walter Caffoni di Macugnaga, che per quindici anni mantenne il record di uomo più veloce in Europa sugli sci, a chiedermi di farlo. Non me lo feci ripetere e il maresciallo Agostino Michielini acconsentì. Ci provai la prima volta nel 1971 scendendo a 170 chilometri orari. Mica poco! Le gare si svolgevano solo a Plateau Rosa, dove arrivavano i “pazzi” da tutto il mondo. Potrei mai dimenticare l’emozione della mia prima volta? Certo che no! Era adrenalina pura e concentrazione bestiale. Bisognava essere preparati mentalmente e fisicamente. Il minimo errore poteva davvero costare molto caro a quelle velocità. Ma a me piaceva da impazzire e l’ebrezza che provavo in ogni allenamento e in ogni gara è qualcosa di inspiegabile ancora oggi. Era una sensazione molto particolare, racchiusa in un soffio. Senza contare che ogni discesa serviva per mettere a punto i pregi ed i difetti delle attrezzature, dagli scarponi alle tute, dai guanti agli sci. Non usavamo ancora il casco, non si parlava neppure di aerodinamica, però per tutti noi atleti del Kilometro Lanciato dell’epoca, quegli anni furono un vero banco di prova!»
«Sono stato un uomo del KL, ma il mio nome non appartiene ai grandi nomi dei record. Sono una persona semplice, che ama Predazzo dove ho deciso di vivere e la Valle d’Aosta dove ho conservato le mie origini.» Fu nel 1972, quell’anno il Kilometro Lanciato rispetto all’abituale agosto venne posticipato a metà settembre, su neve inadatta, che Pietro Perrod ottenne il suo record personale arrivando in fondo alla pista a 174 chilometri ed entrando tra i primi dieci della gara, vinta dal giapponese Tomio Hoshino con 177,602 davanti a Walter Caffoni a 176,557, che quasi sei anni dopo il 14 luglio 1978 raggiunse i 197,477, subito superato dallo statunitense Steve McKinney.
«Era divertente sciare sul ghiacciaio. La gente - dice Pietro Perrod - voleva sempre sapere qualcosa di più di questa disciplina sportiva e di noi atleti che eravamo considerati appunto dei folli. Ci allenavamo già nel mese di luglio, dalle prime ore del mattino fino a mezzogiorno, su ghiaccio e neve. Oggi, invece, provo molto dolore quando guardo quello che sta succedendo in montagna, qui in Valle d’Aosta come in altre parti delle Alpi, compreso il Trentino. Mi fa male al cuore osservare il ritiro dei ghiacciai che non presentano più il loro colore bianco immacolato. È come se mancasse una parte del loro corpo. Sentendo sempre parlare di ere e di epoche, non avrei mai immaginato che tutto ciò potesse succedere in così breve tempo. E il 2022 è davvero un anno molto particolare, perché oltre alle gare di Coppa del Mondo annullate qui in Valle d’Aosta, lo stesso vale per la Marmolada che si presenta agli occhi di tutti spoglia del suo antico ghiacciaio. Il mio sogno è sicuramente quello di tutti gli appassionati delle terre alte: che un giorno non troppo lontano il nostro pianeta riprenda il suo aspetto di prima. Il mio può sembrare un discorso egoistico, però credo che questo sia il pensiero di molti. Altrimenti dove fino a poco tempo fa, e in parte ancora oggi, si camminava con i ramponi allacciati agli scarponi, di qui a poco si potrà procedere con solo gli scarponi. La storia antica insegna.»
Lo sciatore Pietro Perrod è stato pure alpinista, spostandosi verso altre montagne nel mondo. Una in particolare: il FitzRoy, in Argentina, di 3.405 metri. Nel 1977 con altri compagni avrebbe voluto portare a termine il progetto di arrivare in cima al Pilastro Centrale della montagna conosciuta anche come Cerro Chaltén in Patagonia, compresa tra Argentina e Cile. «Ci provammo, ma fu molto difficile visto il maltempo. Dovemmo rinunciare all’impresa - racconta Pietro Perrod che continua a praticare nel tempo libero l’arrampicata - tuttavia io ero andato fin laggiù e non volevo arrendermi. Con i miei compagni di ascensione Cesarino Fava, Bruno De Donà e Guido Pagani decidemmo quindi di modificare il nostro progetto, salendo fino alla cima da un altro versante, quello opposto. Era il 1° gennaio del 1978. Portammo a termine l’impresa e rientrammo in Italia felici di poterla raccontare, allora come oggi.»