«Il villaggio di Eresein a Saint-Marcel era un vero posto da lupi»
Il villaggio di Eresein si trova a circa 1.300 metri di altitudine, si raggiunge percorrendo la strada poderale che parte da Plout e dopo aver superato i mayen di Morze e Frideret a un certo punto sulla destra del torrente di Saint-Marcel c’è un ponte in legno.
Si sale lungo un ripido sentiero e, superato un ruscello che scende dall’alpe di Bonplan, a volte a inizio primavera capita di dover passare sulla neve, perché d’inverno scende sempre giù la valanga di Bomplan e poi, essendo il posto in ombra, ci sta un bel po’ ad andare via. Superato questo canalone, ecco apparire le 4 o 5 case di Eresein. Si dice che una volta questo villaggio era abitato tutto l’anno, le case sono attaccate l’una all’altra come a proteggersi
dalla montagna sovrastante. Si intravede anche una piccola capellina e una vasca che, probabilmente, era l’unico modo per raccogliere l’acqua, essendo la zona molto secca.
Una volta qui si coltivavano alcuni campi di patate, frumento, segale e lenticchie e nei pochi prati venivano pascolate alcune mucche, ma erano una minoranza. C’erano più capre e pecore e la vita era dura e si tirava avanti con quel poco che c’era. A pranzo, non mancava mai la polenta calda tagliata a fette, con latte di capra che veniva mischiato un pochino a quello di mucca per fare dei gustosi formaggi. E in più con le lenticchie si facevano delle gustose minestre. Si dice che più mangi lenticchie e più soldi avrai, ma per i poveri abitanti di Eresein i soldi erano davvero pochi e si faceva una gran fatica a tirare avanti. Ma non avrebbero abbandonato le loro case per trasferirsi giù in paese: loro erano nati là e dovevano rimanervi finché il Signore non li avesse chiamati a sé in Paradiso, dove avrebbero vissuto per l’eternità.
Alla sera si chiudevano bene le porte perché c’erano dei branchi di lupi che giravano affamati, un pericolo continuo per le bestie ricoverate nelle stalle e anche per le persone. Allora si spegnevano tutte le candele in casa e si faceva scaldare nel fuoco a legna del cammino dell’acqua. Poi si aprivano le finestre e si buttava giù quell’acqua bollente sui lupi che se la davano a gambe terrorizzati con la schiena bruciacchiata, C’erano anche parecchie vipere che venivano eliminate mettendo il fuoco sotto le pietre dove avevano i nidi.
Percorrendo il sentiero dietro alle case di Eresein per un lungo rettilineo si arriva nei pressi di una stalla semi diroccata di proprietà di Paolino Piassot. Questo luogo si chiama Leutta di sotto. Vicino c’è un promontorio da dove si gode di un magnifico panorama e si vedono tutti i villaggi di Saint-Marcel: davvero bello. Poi il sentiero sale ancora a tornanti e dopo un po’ ecco apparire le 2 casette di Leutta di sopra piccoline in pietra a secco. Sembrano le casette dei nani: molto graziose. Sulle porte sono incise tante date e nomi scolpite con la punta di coltello Opinel da qualche raro turista passato di là per una passeggiata
Davanti alle case c’è un piccolo prato, dove in estate pascolavano alcuni manzi, poi per bere dovevano scendere a Eresein, al ruscello che scende dal Bomplan. Le case di Leutta di sopra sono di proprietà di Agostino Barailler.
Dimenticavo che in mezzo alle case di Eresein c’era un grosso gelso pieno zeppo di frutti neri che macchiavano le mani di un colore violaceo. Allora si raccoglievano questi frutti e dopo averli messi dentro una caldaia caon, venivano schiacciati con l’aiuto di un bastone a punte detto floglieui. Ne usciva uno sciroppo di scarsa gradazione alcolica, molto gradevole mescolato con l’acqua, era dissetante nelle assolate giornate estive. C’erano pure alcuni noci, così si produceva una piccola quantità d’olio, alcune piante di mele renette, un po’ asprigne ma molto buone cotte, e poi il sambuco per fare la tisana. Iprati erano uno spettacolo per i vari colori dei fiori.
Ah, come vorrei ancora una volta salire lassù dove sembra di toccare il cielo con un dito, un posto selvaggio ma molto affascinante. Purtroppo le mie gambe si sono irrigidite.
Pazienza ci sono stato tante volte con il mio cane Jasù che non c’è più.