Il traforo degli altri

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Proprio come nei rapporti umani vale la regola che quando non hai una cosa la apprezzi davvero, solo l’assenza o l’improvvisa mancanza sono in grado di dare il vero peso di ciò che c’era.

In seguito alla frana che ha portato alla chiusura temporanea del traforo del Frejus si è palesato quanto il tunnel del Monte Bianco sia vitale per i trasporti, e lo sia di conseguenza anche il suo inevitabile raddoppio, l’unica opera che sarà in grado di rendere più gestibile il traffico transfrontaliero ormai congestionato, ridotto a code interminabili e addirittura paralizzato quando ne manchino le alternative.

Onde evitare la aralisi negli scambi commerciali e nei collegamenti, è evidente che bisognerà “sopportare” una temporanea chiusura che permetta i lavori di adeguamento.

A chi si lamenta, giustamente, del disagio che verrà, chiediamo come si possano attuare soluzioni, senza mai modificare lo status quo. La tipica mentalità che aleggia spesso tra le mie valli e che tutto debba restare com’è.

Salvaguardare però non significa non sanare, non ristrutturare, non modernizzare. Tutte azioni da compiere con criterio, certo, senza scellerate scelte cementifere o altrettanto inattuabili scelte economiche.

Ma con un corretto piano di lavori, tutto ciò che è migliorabile va fatto per mantenere viva una Valle d’Aosta affaticata, che giace oggi semi abbandonata a sé stessa, alla ricerca di una vocazione turistico-ambientale non ancora esplosa.

Allora mi chiedo: se il traforo deve chiudere per i lavori di rifacimento della volta, perché non occuparsi del raddoppio, evitando un’ulteriore futura chiusura?

Mentre dal lato francese arriva un silenzio sempre più fragoroso, forse proprio Bruxelles dovrebbe prendere in mano il problema, che non resta solo italiano, bensì coinvolge diversi paesi europei, perché lo si affronti comunitariamente, accanto certo a dei governi valdostano e italiano fortemente attivi in tal senso.

Anche questa sembra essere una regola aurea: i problemi non sono tali finché vengono percepiti come altrui.

Come diceva quel mattacchione di Charles Bukowski “quando si tende a fare le cose che fanno tutti gli altri, si diventa tutti gli altri”.

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