Il Premio Goncourt 2024 allo scrittore Kamel Daoud: un romanzo terribile e necessario
Al café-restaurant Drouant a Parigi, come ogni anno da più di un secolo, viene attribuito il premio letterario Goncourt; forse il premio letterario più noto e prestigioso in Europa. Qualche giorno fa, lunedì 4 novembre, il rito si è ripetuto con tutta la forza simbolica dei riti. Quest’anno però sono stati premiati un libro ed un autore la cui opera e la cui riflessione va ben oltre i confini della Francia, oltre i confini dell’ordinaria esistenza. Nella notte tra il 2 e il 3 gennaio 1998, un terrore indicibile si abbatté sui villaggi di Ramka e Had Chekala, nell'isolata regione di Relizane in Algeria. Il buio che avvolge questi borghi diventa teatro di una barbarie inimmaginabile. Nel giro di poche ore, più di mille persone furono sgozzate e strappate alla vita in uno dei massacri più atroci della guerra civile. Criminali con barbe lunghe, vestiti con tuniche afghane, i volti mascherati, attaccano senza sosta gli abitanti del villaggio. Le loro esecuzioni, spaventosamente metodiche si susseguono con un ritmo infernale. La città è immersa nell'oscurità; risuonano solo le grida di bambini, donne, uomini e i suoni sinistri delle esecuzioni.
Il personaggio centrale di Kamel Daoud (foto), Aube. Alba, Fajr in arabo, eroina e narratrice del romanzo, incarna in primo luogo le donne vittime ma resistenti di questo paese insanguinato. Vittima di un tagliagole islamista che le ha tagliato le corde vocali, diventa muta. Aube ha visto morire i suoi genitori e sua sorella durante il massacro del suo villaggio alla vigilia degli anni 2000, durante la guerra civile. Vent'anni dopo vive a Orano, gestisce un parrucchiere, ha un'enorme cicatrice sul collo. In un monologo interiore, ricostruisce questa storia terribile, rivolgendosi, il più delle volte, al bambino che porta in grembo ed esita a dare alla luce, chiamandolo “Houri”, termine che designa le vergini promesse ai fedeli musulmani in paradiso. Aube diventa testimone attraverso la sua carne ferita, ma la ferita non è solo nella carne, la ferita più profonda è nell’anima di un mondo travolto dalla violenza cieca dell’oscurantismo e del fanatismo. Un fanatismo politico e religioso che ancora non ha trovato un percorso interpretativo maturo e compiuto, forse per il suo essere ancora così presente; lontano e vicino allo stesso tempo. Dalle torri gemelle, al Bataclan, dall’orrore di al-Raqqa, capitale del califfato di Daesh all’incubo delle donne afgane private di ogni dignità umana possibile, fino a Masha Amini e ancora Ahoo Daryaei che sola, nuda, ha sfidato l’indicibile, non abbiamo ancora saputo costruire una riflessione credibile su un fenomeno che ci coinvolge tutti e dove ciò che appare lontano, come la guerra civile algerina, in verità è più vicino di quanto non vorremmo pensare. Il romanzo di Kamel Daoud ha questo immenso merito, ovvero quello di costringerci a guardare. In questi giorni sono state pubblicate alcune interviste di grande interesse all’autore Kamel Daoud. Sulla rivista Le Grand Continent, Daoud ripercorre in particolare il suo rapporto con la città di Orano. Un’intervista che rievoca in particolare il rapporto complesso tra la Francia e l’Algeria anche attraverso la rievocazione di La Peste di Albert Camus. Bella anche l’intervista di Raphaël Enthoven sulla rivista Le Franc-Tireur. Vi rievoca la Fatwa di cui è stato vittima e ricorda che «…qui, in Francia, sono vivo. L'Occidente mi protegge, mi trasmette, mi legge... è l'unico luogo di civiltà che abbiamo al momento. Amin Maalouf ha detto molto giustamente: “Chi critica l’Occidente non offre altro.” Laggiù, dall'altra parte, in Algeria, posso morire ma ho un'idea troppo alta di me per accontentarmi del ruolo di vittima.». La letteratura è ancora una volta così un’arma potente del mondo che ancora ha il coraggio di guardare la realtà delle cose per come sono e non per come vorremmo che fossero. L’Algeria di oggi ha deciso di scopare una parte feroce della sua Storia sotto il tappeto, come fosse polvere. Come scrive Daoud: «Il fallait croire que dix ans de massacres n’étaient qu’un cauchemar, puis un rêve, puis des rumeurs, puis des feuilles mortes de caroubier dans un autre village». Houris è un romanzo con una scrittura straordinaria, sublime e allo stesso tempo feroce, a tratti insostenibile eppure necessaria. La scelta della giuria del Goncourt 2024 dimostra che per fortuna c’è ancora un mondo che non ha paura della propria ombra. Le interviste qui ricordate sono tutte disponibili in rete e il romanzo di Kamel Daoud vedrà la luce anche in Italia nel 2025 per i tipi de La nave di Teseo.