Il Neret, una favola lunga cinquecento anni
Il Neret (o Neyret come a volte è stato chiamato per differenziarlo dai Neiretti piemontesi) è un vitigno a bacca rossa autoctono.
Lo definiamo autoctono ufficialmente solo dal 2010, quando una pubblicazione sull’Informatore Agricolo a cura di Rudy Sandi, Giulio Moriondo e José Vouillamoz, ne ha decretato ufficialmente la parentela con il Petit-Rouge. Una ricerca su diversi marcatori dei DNA di questo vitigno e la ricerca ampelografica condotta hanno evidenziato come il Neret sia il “figlio” dello svizzero Rouge du Pays (il Cornalin del Valais) e sia sicuramente parente stretto dei nostri Fumin e Mayolet.
Questo vitigno è menzionato e descritto per la prima volta in Valle d’Aosta da Lorenzo Francesco Gatta (nel 1838) nel suo “Saggio sulle viti e sui vini della Valle d’Aosta” dove segnala tra i Neretti valdostani, diversi dai piemontesi, almeno tre distinti tipi che trascrive come Neret Rare, Neret Gros Serré e Neret Picciou Serré. Francesco Gatta ne colloca la coltivazione in centro e bassa valle, da Saint-Christophe a Pont-Saint-Martin, quindi il vitigno era riconosciuto nel diciannovesimo secolo, ma pare che a partire dall’inizio del Novecento i tre tipi di Neret citati non sono più stati osservati in Valle d’Aosta.
La passione di questi tre ricercatori - Rudy Sandi, Giulio Moriondo e José Vouillamoz appunto - ma soprattutto l’amore per il territorio e la tenacia di Rudy Sandi hanno fatto resuscitare questa antica bacca rossa valdostana. Rudy Sandi racconta che dopo la tipizzazione e la caratterizzazione del vitigno ha riconosciuto e ritrovato, nell’antica vigna mista di famiglia a Gressan, la varietà del Neret Picciou e l’ha messa a disposizione per un reinnesto.
Lo stesso Sandi ha poi approfondito la ricerca e, presso l’Archivio storico regionale, ha ritrovato un documento del Cinquecento nel quale un signore locale chiedeva ai vignaioli della zona di Clos de Barme di Arnad un canone di affitto in Neret!
Da qui è partita un’indagine nella zona della bassa valle fino ad arrivare all’ultimo custode conosciuto di una varietà speciale, Luciano Challancin, che allevava ancora nel suo vigneto la varietà antica del Neret Gros, anche questo messo a disposizione per il reinnesto.
La ricerca e la passione di Rudy Sandi hanno quindi permesso di riportare in produzione un vitigno autoctono che era stato inconsciamente allevato fino alla fine dell’Ottocento nella media e nella bassa valle e che poi rischiava di perdersi definitivamente, se non nelle sue varietà incrociate e mutate nel Rouge du Pays nel Vallese.
A questo punto mancava un produttore che si prendesse cura di questo vitigno riscoperto e che scommettesse sulle sue caratteristiche. Rudy Sandi ha trovato in Didier Gerbelle di Aymavilles un giovane viticoltore che ha subito sposato l’idea di recuperare un vitigno a bacca rossa autoctono, dalla storia così affascinante. Il vitigno si è rivelato da subito forte, vigoroso, resistente a diverse malattie, ma dalla produzione altalenante nelle diverse annate. “L’uva del Neret - spiega Didier Gerbelle - sprigiona da subito aromi e profumi diversi dagli altri autoctoni, dal colore simile al Fumin, ma dai tannini meno marcati.”
La prima produzione di casa Gerbelle è stata quella del 2013 ed è coincisa con la nascita del suo primo figlio, Christophe, da qui il nome in etichetta “L’Ainé”, il primogenito, anche per il fatto che era la prima vigna dedicata completamente al vitigno Neret nella storia valdostana. “L’Ainé” in particolare è fatto macerare sulle bucce sessanta/settanta giorni prima di essere lavorato e presenta nel bicchiere un profilo aromatico ricco di note di prugne e more, soprattutto è dotato al sorso di un tannino serrato e più rotondo, di bella grana, con un finale sapido e setoso. Ecco quindi il nuovo custode di questo vitigno autoctono.
In questi anni il Neret ha trovato fortuna presso diversi produttori. L’Institut Agricole Régional lo usa spesso per andare a completare le DOC ed i vini in barrique, tra cui il Sirah e il Fumin. La famiglia Grosjean lo coltiva per dare vita al recupero di un antico vino: il Clairet, che già nel 1494 dai documenti dei Passerin d’Entrèves veniva servito al castello di Issogne al re di Francia Carlo VIII. La Cantina Grosjean ha voluto quindi reinterpretarlo con attenzioni che partono dalla vigna per finire in cantina in un “blend” di Picotendro e Neret appunto.
Il Neret. Un vitigno forse un po dimenticato, ma reso immortale prima e pregiato poi, grazie alla passione della ricerca e al lavoro dei viticoltori valdostani.