Il mondo agricolo teme le conseguenze del Coronavirus “Il problema sarà il reclutamento della manodopera”
Il settore agricolo valdostano comincia a sentire il peso dell’emergenza Coronavirus. La preoccupazione sale soprattutto tra gli allevatori, la maggior parte dei quali in queste settimane dovrebbe iniziare ad assumere personale in vista dell’inizio dei lavori della campagna e della prossima salita negli alpeggi che di solito avviene tra la fine di maggio e gli inizi di giugno.
Al mondo agricolo italiano è richiesta la continua disponibilità a sostenere questa emergenza ma occorre, secondo la Confederazione italiana agricoltori (Cia), che il Governo si adoperi «affinché siano introdotti strumenti agili per recuperare lavoratori nelle prossime campagne». Infatti, secondo quanto afferma l’allevatore di Saint-Marcel Gianni Champion che è anche il vicepresidente (con delega al territorio valdostano) della Cia Agricoltori delle Alpi «la mancanza di manodopera nel settore preoccupa soprattutto per l’avvio dell’imminente stagione di lavori nei campi. A parte il discorso degli alpeggi, se vogliamo restare alle produzioni vegetali, c’è il rischio che esse restino a terra, in serra e non finiscano sugli scaffali».
«Come per tutti i settori, la situazione attuale è molto delicata anche per il mondo dell’allevamento valdostano. - sostiene Edi Henriet, direttore dell’Arev - Association Régionale Eléveurs Valdôtains - Per il momento è difficile prevedere come evolverà la situazione. Il problema evidente per poter affrontare la primavera e la prossima estate sarà il reclutamento del personale. La preoccupazione più grande adesso è quella di non ammalarsi, perché trovare un sostituto che venga in azienda è praticamente impossibile. E i danni economici si vedranno solo più avanti. Inoltre, sappiamo che molti allevatori valdostani che al lavoro zootecnico hanno scelto di affiancare l’agriturismo, con la chiusura dell’attività fino a pandemia scongiurata risentono già dei risvolti negativi della situazione di emergenza in atto».
Lo sconforto degli allevatori
«È chiaro - afferma Michel Celesia, allevatore di Pollein e presidente di Mouvement Montagne - che con le restrizioni è difficile lavorare; a livello burocratico in questo momento non possiamo presentare domande in seno al Piano di sviluppo rurale o alla Pac, per questo auspichiamo che le autorità ci vengano incontro prorogando le scadenze. Se al momento il lavoro di routine va avanti, bisogna guardare alla prossima salita delle mandrie negli alpeggi: abbiamo molti lavoratori stagionali, circa l’ottanta-novanta per cento di loro sono stranieri, e, quindi, come dovremo comportarci? Ci sarà da fare rispettare la quarantena? Ecco, tutto questo è già un problema adesso. Non credo assolutamente che quest’emergenza Coronavirus si risolva in tempi brevi! A fine estate anche l’allevamento valdostano tirerà le somme!».
«Con gli animali la vita cambia poco, si lavora già sempre, trecentosessantacinque giorni l’anno. - parole di Roberta Roccia di Donnas, titolare dell’Agriturismo Le Rocher Fleuri, in località Albard, dove con il marito Roberto Bosonin si occupa anche dell’azienda zootecnica di famiglia - La nostra fortuna è che abbiamo una conduzione familiare, non dobbiamo quindi cercare altrove la manodopera. Ma in questo grave momento di emergenza sentiamo il peso della chiusura del nostro agriturismo, inaugurato nell’aprile del 2019. Inoltre, tutto va al rallentatore e i servizi sono ridotti se non cancellati. E poi c’è da pensare alla prossima inarpa, allo spostamento degli animali in alpeggio e alle eventuali restrizioni in merito».
«Io - spiega Didier Bieller, allevatore di Nus, conduttore dell’azienda zootecnica e dell’agriturismo “Le Bonheur” a Fénis - ho basato la mia attività sulla produzione dei miei prodotti e sulla loro valorizzazione. A oggi le mie entrate sono pari a zero. Cosa mi riserveranno i prossimi mesi non lo so, ma credo che l’estate non sarà facile. Ho un dipendente nordafricano che voleva andare a trovare la famiglia nel suo Paese, ma è stato bloccato qui. Ciò significa che partirà quando io ne avrò bisogno in alpeggio nella conca di Valtournenche e questo per me è un altro problema».
e attività veterinaria
Il Coronavirus porta scompiglio anche tra i veterinari che lavorano in regime di convenzione con l’Anaborava: lamentano una situazione di criticità in caso di emergenze e alle direttive in merito alle fecondazioni artificiali, oltre che ai pericoli di eventuali contagi.
«Le istruzioni sono state impartite da parte di Anaborava sin dal primo giorno di uscita del Decreto Conte. - spiega il direttore dell’Anaborava Mario Vevey - Dal punto di vista delle urgenze, esse sono considerate un fatto sanitario improrogabile e, indipendentemente dalla convenzione che i veterinari hanno, sono tenuti a rispondere a qualsiasi urgenza che riguardi malattia o benessere degli animali d’allevamento. È a valutazione del veterinario e della situazione contingente dare corso alle chiamate che possono essere considerate non urgenti nell’attività dell’allevamento. In merito alle fecondazioni artificiali, sarà il veterinario stesso a valutare la richiesta e la necessità di intervento, perché in molti casi può richiedere che sia utilizzato il toro aziendale qualora l’animale sia presente nella stalla dell’allevatore che chiama. Per quanto riguarda il resto, i veterinari sono tenuti a dare il proprio servizio nelle condizioni che si preoccupi di proteggere se stesso e l’allevatore con cui viene in contatto utilizzando tutti i dispositivi di sicurezza individuale per lavorare in sicurezza. I veterinari sono adulti preparati ad affrontare il problema più di altre persone quindi, in ultima analisi, sono liberi di valutare i pro e i contro, i rischi e tutto quanto ne deriva prima di prestare il proprio intervento».