Il libro che non c’è ancora (ma ci siamo molto vicini) 7. Trasformismi e altri misteri

Il libro che non c’è ancora (ma ci siamo molto vicini) 7. Trasformismi e altri misteri
Pubblicato:
Aggiornato:

Il libro che non c’è ancora (ma ci siamo molto vicini) 7. Trasformismi e altri misteri

I primi giorni di pace non furono solo giorni di festa. Giusto per mettere a fuoco come fosse molto facile in quei giorni ricattare, minacciare, eliminare qualche nemico, è bene forse ricordare che scomparvero in Valle, all’indomani della Liberazione, almeno un centinaio di persone. Una pagina orrenda della storia valdostana che nessuno ha ancora avuto il coraggio di scoperchiare. Corpi galleggianti nella Dora, incidenti molto improbabili, suicidi poco credibili, umiliazioni e violenze, cadaveri sepolti nei boschi. Un’indagine oggi resa molto difficile da comprensibili reticenze, memorie poco attendibili, assenza di documenti scritti. Allora, ovviamente, nessuna denuncia, nessuna inchiesta, tanta omertà. D’altronde, non c’era alcuna autorità riconosciuta. A chi si poteva denunciare una violenza in quei giorni? E poi, il silenzio imposto ai vinti che, insieme alla guerra, hanno perso anche il diritto alla parola e alla memoria (Già, la “resa dei conti” ci fu anche da noi, sebbene pochi - credo solo Omezzoli e Presa - le hanno dedicato qualche pagina. Ma questa è una storia su cui forse avremo modo di ritornare in futuro).

La Liberazione di Aosta (26-28 aprile 1945) fu un capolavoro diplomatico, splendidamente gestito dal Vescovo, Monsignor Imberti, e favorito dal buon senso di tutti: comandi partigiani, tedeschi, alleati e fascisti. Un inutile bagno di sangue fu saggiamente evitato e anche il rischio di un sabotaggio delle infrastrutture industriali. I tedeschi si ritirarono con ordine per consegnarsi agli americani. I fascisti duri, quelli della Folgore, ottennero l’onore di lasciare la città marciando compatti, cantando e con le armi in pugno, verso un destino ignoto. Gli alpini della Divisione Littorio, ragazzi di Salò con le mani abbastanza pulite, trovarono il modo di allearsi coi partigiani per far fronte a un’eventuale invasione francese. La Mission Mont-Blanc, alla luce del giorno, si stabilì a Introd, dove incominciò la propaganda annessionista e la raccolta di firme per il mitico plebiscito. Un corpo di soldati francesi si spinse fino a Pont Saint-Martin, ufficialmente per scortare la ritirata tedesca, facendo però temere un’invasione della Valle (che, come sappiamo, gli alleati non avevano mai autorizzato, ma questo lo sappiamo noi oggi, non era facile in quei giorni avere certezze). Gli americani erano in Piemonte, ma in Valle circolano, sin dal 10 aprile, gli agenti inglesi paracadutati della Missione Incisor, al comando del maggiore McKenna, il cui obiettivo era proteggere il patrimonio idroelettrico valdostano sia dai tedeschi in ritirata, sia da una possibile occupazione francese. Come si sa, le divisioni corazzate americane arrivarono ad Aosta il 4 maggio, insediando al potere l’amministrazione militare alleata, al comando del maggiore inglese Ernest A. Howell e chiudendo di fatto la partita annessionista.

In quella settimana, tra il 28 aprile e il 4 maggio, i notabili valdostani che avevano flirtato coi francesi cambiarono idea, cercarono una strategia alternativa, si reinventarono “autonomisti”, incominciarono a parlare di “garanzia internazionale”. E si preoccuparono soprattutto di cancellare le tracce del loro passato che rischiava di configurarsi come un crimine di “alto tradimento”. La vicenda è nota. L’hanno raccontata in molti: Lengereau partendo dagli archivi francesi, Nicco e Riccarand dai fondi dell’Istituto storico della Resistenza, Omezzoli dagli archivi di Farinet e di Stevenin, Celi dagli archivi ecclesiastici e dal fondo Voisin, Désandré spingendosi fino a curiosare negli archivi dei servizi segreti militari italiani.

Le fonti non ci dicono però tutto su cosa abbia spinto in quei giorni il Gotha del notabilato locale a cambiare repentinamente prospettiva. Possiamo solo immaginarlo facendoci guidare dalle memorie di un protagonista, ingenuo, quasi incantato, che scopre, incredulo, il “tradimento” dei notabili.

Vincent Tréves, secessionista della prima e dell’ultima ora, racconta che il 29 aprile, nel piazzale della Chiesa di Châtillon, al temine del Te Deum di ringraziamento per la pace, viene avvicinato, con maniere gentili, dal maggiore McKenna e dal suo interprete. Il comandante inglese gli racconta che la sua missione è finita, che le infrastrutture industriali sono salve e che lui sta per andarsene prima dell’arrivo degli americani. E poi aggiunge: “Et vous quand est-ce que vous cesserez de vous battre pour l’annexion de la Vallée d’Aoste à la France? Cela n’arrivera jamais, les nations alliées ne le permettront pas”. . Trèves ricorda quelle parole come delle “frecce che lo colpiscono al cuore”. Risponde che c’è il primo articolo della Carta atlantica che assicura il diritto all’autodeterminazione dei popoli. McKenna gli risponde (ci immaginiamo il tono paternalistico e un’aria vagamente ironica) che quelli sono principi, propaganda, non impegni e che dopo ci sono stati gli accordi di Yalta. Una dura lezione di Realpolitik di cui Trèves comprenderà il pieno significato una settimana dopo, in una riunione semi-clandestina, convocata d’urgenza da Stevenin e Page presso la collegiata di Sant’Orso. Con l’arrivo degli americani, dice Stevenin, tutto è cambiato: la Francia ha abbandonato la causa annessionista e ora bisogna pensare a ottenere la massima autonomia all’interno dello Stato italiano. E il 7 maggio Stevenin presenta all’Académie Saint-Anselme il suo progetto di Statuto.

Trèves, incredulo, si precipita da Voisin chiedendo che la Francia “dise un mot officiellement sur la question valdôtaine”. Una parola ufficiale che non verrà mai detta.

Non è difficile immaginare che l’incontro fra Trèves e McKenna non sia stato casuale e che incontri analoghi siano stati organizzati dai servizi italiani e alleati con le personalità implicate nel movimento annessionista. Non sappiamo con quale dosaggio di promesse e di minacce, non sappiamo chi, quando, come e da chi siano stati avvicinati e convinti, ma l’esito è evidente. Fra il 5 e il 18 maggio, il giorno fatale previsto per la manifestazione annessionista, il notabilato valdostano, convinto ormai che la Francia non avrebbe fatto la sua parte, si defila, si assicura attestazioni di italianità, giustifica le precedenti tentazioni annessioniste in nome di una pressione verso lo Stato italiano per concedere una maggiore autonomia.

Intanto, però, Voisin e il Comité Valdôtain de Libération continuano a raccogliere firme per il plebiscito. L’epilogo è scritto, la giornata del 18 maggio non poteva andare diversamente….

(Continua)

Abbonamento Digitale La Valléè
Archivio notizie
Novembre 2024
L M M G V S D
 123
45678910
11121314151617
18192021222324
252627282930