Il libro che non c’è ancora (ma ci siamo molto vicini) 6. “C’era anche lui!”

Il libro che non c’è ancora (ma ci siamo molto vicini) 6. “C’era anche lui!”
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Il libro che non c’è ancora (ma ci siamo molto vicini) 6. “C’era anche lui!”

De Gaulle probabilmente bluffava, però qualcuno ci ha creduto. Intorno al dottor Voisin, che probabilmente ci credeva davvero, e alla Mission Mont-Blanc, tra dicembre e aprile del 1945, si sono mossi diversi valdostani. Non sappiamo tuttavia ancora esattamente chi e quando. Non solo perché la maggior parte della documentazione più scottante è probabilmente finita in un rogo ad Introd, tra il 7 e il 16 giugno, alla ripartenza della Missione, ma soprattutto perché la documentazione di cui disponiamo è prevalentemente indiretta e successiva agli eventi. Detto in parole povere: ci sono pochi “c’ero anch’io” e tanti “c’era anche lui”.

C’è una cosa molto curiosa nel libro di Silvana Presa su Le fasi della Resistenza in Valle d’Aosta. Un libro di ostinato rigore, di inarrivabile attenzione ai dettagli. La sintesi più aggiornata e affidabile sul ’43-’45 in Valle d’Aosta. In appendice al volume troviamo un elenco puntuale di tutti i Comitati di liberazione, anche quelli più effimeri, che si sono susseguiti dal ’43 al ’45. Nomi e cognomi, durata, appartenenze ai partiti; finalmente un quadro chiaro di un periodo convulso. Un lavoro meticoloso che ha alle spalle cinquant’anni di ricerche dell’Istituto storico della Resistenza. Quando arriviamo (p. 246) al “Comité de libération”, quello della Mission Mont-Blanc che opera per l’annessione della Valle d’Aosta alla Francia, niente, neanche un nome. Solo due righe: “i cui membri sono in contatto coi separatisti valdostani che si trovano in quel momento in Svizzera e in Valle d’Aosta”.

Un urlo del silenzio, due righe spietate che sono un programma di ricerca per i prossimi anni. Destinate ad attirare lo storico come la visione di una via nuova attira un alpinista.

Qualcosa in realtà sappiamo, ma è probabilmente ancora troppo incerto per finire in una sintesi rigorosa come quella dell’ex direttrice dell’Istituto storico della Resistenza.

Provo quindi a ricapitolare, come dicevo, da semplice lettore di lavori altrui. (Con la difficoltà di non poter andare in una biblioteca, in un archivio, nemmeno, al momento, poter uscire dal mio comune. Dovendo arrangiarmi coi libri che ho a casa, magari cercando di rileggerli tra le righe. Ma, ripeto, se qualcuno ne sa di più scriva. Ringrazio chi lo ha già fatto. Alla fine vedremo magari di mettere insieme un po’ di interventi e fare uno “speciale”).

Allora, rispetto al primo tentativo di annessione (quello della missione Fasso del settembre ’44), i nomi che circolano sono leggermente cambiati. Non c’è più il punto di riferimento principale, il comandante, Cesare Ollietti. Il motivo è ancora un mistero su cui è favoleggiato a lungo, chiamando in causa donne affascinanti e servizi segreti. Rimarrà un mistero anche per il padre, il notaio Felix Ollietti che resta vicino a Voisin e, come racconta Trèves, se ne va da una delle ultime riunioni del Comité, vergognoso per il “tradimento” di suo figlio. Forse la risposta è la più semplice: Ollietti era l’uomo più vicino agli ambienti militari alleati e quello su cui più forti e più facili erano le pressioni, anche per il suo ruolo militare. Ha capito il bluff prima degli altri.

I fedelissimi li conosciamo bene. Albert Milloz, Pierre Réal, Marcel Vaser, Jean Frassy, Vincent Trèves, Cipriano Roveyaz, Marie Nouchy. Il Presidente onorario del Comité, Marie-Celeste Perruchon, vedova Chanoux. Rimarranno fino alla fine, e anche oltre, qualcuno emigrando in Francia, e non negheranno mai nulla. Sono però considerati, dai francesi come dai notabili valdostani, una manovalanza, “les derniers de la roue”, all’occasione da far passare per matti, come suggerisce l’avvocato Caveri al processo a Trèves nel ’47.

I dubbi sono sui notabili. Il leader degli annessionisti sembra essere in questi mesi Cesare Bionaz, sul quale Voisin ripone illimitata fiducia, affidandogli importanti somme di denaro, che però, come ha mostrato Désandré curiosando per la prima volta negli archivi del SIM, lavorava anche contemporaneamente per i servizi segreti italiani. E la storia con Voisin finirà molto male.

Oscillante sembra anche l’adesione di alcuni canonici di Sant’Orso, come Bréan o Bovard, che avevano un problema in più rispetto ai laici: conservare alla Chiesa valdostana, in caso di annessione alla Francia, i privilegi assicurati dal Concordato. Questo forse spiega anche molte oscillazioni della loro guida spirituale e politica, il canonico Jean-Joconde Stevenin, che, come ci ha raccontato Tullio Omezzoli, ha probabilmente giocato contemporaneamente diverse partite.

Ancora più intriganti le dinamiche interne della famiglia Adam. Nestor, il Priore del Gran San Bernardo, è probabilmente il mitico inconnu, tessitore nascosto della trama annessionista, di cui parla Severino Caveri, colui che avrebbe posto suo fratello Roberto Adam, a capo del Comité de Libération di Voisin (ma senza il minimo sospetto che il fratello, tenente d’aeronautica dell’esercito italiano, lavorasse anche per il SIM?). Il tutto mentre il terzo fratello, il Maggiore Augusto Adam (partigiano Blanc), decorato in Etiopia al valor militare, rimasto fedele a Badoglio, viene designato nel gennaio del ’45 dal CLN piemontese come comandante militare della Resistenza valdostana, al posto di Ollietti, proprio per contrapporsi agli annessionisti.

Rimangono anche pochi dubbi, nonostante le ripetute smentite e le rassicurazioni dei protagonisti, sull’adesione per alcuni mesi all’annessionismo di Paul-Alphonse Farinet, Ernest Page e Severino Caveri (anche se sui loro fondi d’archivio, se non sono stati troppo ripuliti, ci sarebbe ancora molto lavoro da fare). Lo dimostrano i memoriali inviati in Francia, diverse lettere, seppure in codice, e soprattutto lo sconcerto dei fedelissimi di fronte alla loro inattesa conversione proprio alla vigilia del momento decisivo: la programmata giornata del 18 maggio 1945.

Già, perché nella settimana tra il 28 aprile, giorno della liberazione di Aosta, e il 5 maggio, l’indomani dell’arrivo degli americani, in quei giorni di festa e di resa dei conti quando finalmente si ritrovano tutti in città, rientrati dall’esilio o scesi dalla montagna, succede qualcosa e molti preparano una strategia di uscita …

(continua)

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