«I ghiacciai della Valle d’Aosta influiscono sulla portata del Po e sul livello del Mare Adriatico: cambierà la fisionomia del pianeta»

«I ghiacciai della Valle d’Aosta influiscono sulla portata del Po e sul livello del Mare Adriatico: cambierà la fisionomia del pianeta»
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I ghiacciai, sentinelle del cambiamento climatico, stanno scomparendo. L’aumento della temperatura del permafrost (suolo, detrito, roccia) e gli effetti a cascata che ne possono derivare (instabilità delle pareti rocciose, dei versanti e delle infrastrutture di alta quota) sono tra i principali impatti del cambiamento climatico.

Se ne è parlato domenica scorsa, 17 ottobre, al Forte di Bard, dove si è conclusa la mostra «Il Monte Cervino: ricerca fotografica e scientifica», seconda tappa, dopo l’esordio l’anno scorso del Monte Rosa, del progetto quadriennale «L’adieu des Glaciers», di cui è curatore il fotografo Enrico Peyrot e che propone un viaggio iconografico e scientifico tra i ghiacciai dei principali Quattromila della Valle d’Aosta per raccontare la storia delle loro trasformazioni.

Tutto il pianeta si è riscaldato salvo parte del Nord Atlantico e del Sud Africa, con un’accelerazione impressionante dal 2014 al 2020, i 7 anni più caldi nel mondo. In meno di 2 secoli l’area dei ghiacciai alpini si è ridotta del 60 per cento (da circa 4.500 a meno di 1.800 chilometri quadrati). Sul Gran Paradiso di oltre il 65 per cento, da circa 88 a meno di 30 chilometri quadrati. Antartide e Groenlandia hanno perso in un ventennio quasi 9.000 miliardi di tonnellate di ghiaccio, circa 250 volte il Lago Maggiore. E gli oceani, che assorbono il 90 per cento del calore in eccesso intrappolato dall’effetto serra creato dall’uomo, ricevono l’acqua di fusione glaciale e rischiano un aumento di livello da 1 a 5 metri nei prossimi secoli.

Domenica, dopo la visita guidata alla mostra, nella sala Olivero della Fortezza si è tenuta la conferenza «I ghiacciai che scompaiono: un avvertimento per il futuro» introdotta dalla presidente del Forte di Bard Ornella Badery. I numerosi ascoltatori hanno seguito con interesse gli interventi di Luca Mercalli presidente della Società Meteorologica italiana, climatologo e glaciologo, esperto in variazioni del clima e ghiacciai delle Alpi occidentali, comunicazione del rischio climatico e sostenibilità ambientale, e di Michele Freppaz, professore del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino, nonché membro del Comitato Glaciologico Italiano e curatore scientifico del progetto promosso dal Forte.

Ornella Badery, nell’annunciare che l’anno prossimo sarà la volta del Gran Paradiso e infine sarà protagonista il Monte Bianco, ha ricordato come le fotografie antiche siano a loro volta dei beni da conservare (e restaurare) anche perché sono al servizio della scienza, mostrando quali erano un tempo le caratteristiche delle montagne e l’aspetto urbanistico-architettonico del territorio, e consentendo dei confronti attraverso i decenni.

Questione di pochi gradi

«Alla Terra è salita la febbre» ha spiegato Luca Mercalli. «Se la zona boreale artica si è scaldata nell’ultimo secolo fino a 4 gradi in più, noi stiamo registrando temperature più elevate anche di 2 gradi. Sembra poco, in realtà è un’enormità. E’ come se a un corpo umano si aggiungesse un grado e mezzo, equivarrebbe a essere malati, mentre 5 gradi in più porterebbero alla morte. Da stato di benessere a morte è questione di pochi gradi. Il pianeta si comporta nello stesso modo: al freddo siamo già più abituati avendo attraversato 2 glaciazioni, con il troppo caldo non abbiamo alcuna esperienza evolutiva. Occorre curare questa febbre finché siamo ancora in tempo. Non avremmo mai immaginato di veder correre così veloce la retrazione dei ghiacciai».

Il Ciardoney, sul Gran Paradiso, per esempio, che è un ghiacciaio campione, ovvero è tra i 41 al mondo che hanno oltre 30 anni di misurazioni, ha perso in questo arco temporale il 65 per cento del suo «capitale» e una quarantina di metri di spessore glaciale. Anche nel 2021 la situazione è stata non estrema ma pur sempre negativa, con poca neve invernale e un’estate torrida: tra la sesta e la nona estate più calda degli ultimi 200 anni.

«La fusione glaciale si intensifica in tutto il mondo. Ogni anno si perde circa 1 metro e 30 di spessore, 3 metri negli anni più caldi, nei più freschi - per esempio nel 2001 - si preservano 10 centimetri. A settembre si è riscontrata una perdita di 2 metri» ha aggiunto Luca Mercalli.

Manhattan sott’acqua

«I ghiacciai della Valle d’Aosta influiscono sulla portata del Po e sul livello del Mare Adriatico e indirettamente degli oceani: cambierà la fisionomia del pianeta. Se il livello dei mari salirà di 1 metro e 20, Miami e Manhattan andranno sott’acqua, in parte anche Londra; Venezia e il delta del Po saranno zone a rischio. Se anche fermassimo le emissioni di CO2, 40 centimetri in più nel livello dei mari entro il 2100 saranno inesorabili. Stiamo vivendo nel periodo più caldo degli ultimi 2000 anni. E’ un codice rosso per l’umanità. Dobbiamo prendere provvedimenti. Tra fine ottobre e inizio novembre si terrà a Glasgow un altro incontro delle Nazioni Unite, durante il quale i leader mondiali proveranno a individuare strategie per ridurre le emissioni di CO2, limitando l’innalzamento delle temperature a 1,2 gradi invece che 5. Il problema dei cambiamenti climatici è stato considerato marginale negli ultimi 30 anni, ma le Alpi entro il 2100 saranno prive di ghiaccio, avremo solo le fotografie da mostrare i bambini che nasceranno alla fine di questo secolo. Se a Glasgow troveranno un’intesa, l’accordo di Parigi, già in vigore, potrebbe inziare a essere attuato e potremmo uscire dallo stallo. Per mantenere un cappello bianco almeno sul Monte Rosa e sul Monte Bianco, dovremo consumare meno e utilizzare più energie rinnovabili. Il livello dei ghiacciai oggi non ha precedenti negli ultimi 2000 anni, quelli piccoli entro il 2050 non ci saranno più. Verso la metà del prossimo secolo ci troveremo con 12 gradi in più e forse le lucertole torneranno dinosauri».

Meno 40 per cento

«I ghiacciai degli anni Ottanta non esistono più, così come quelli a duplice basamento colonnare. Dagli anni Sessanta a oggi la loro superficie si è ridotta del 40 per cento» ha commentato Michele Freppaz. «Arretrando, il ghiacciaio lascia un terreno più vulnerabile, sabbia e ghiaia non più pressate dal ghiaccio, per cui basta un forte temporale per rendere marrone l’acqua dei torrenti. Inoltre, dove prima c’erano i ghiacciai nascono nuovi laghi - se ne contano centinaia dall’Ottocento a oggi nelle zone libere dai ghiacci tra Piemonte e Valle d’Aosta - che costituiscono un potenziale pericolo. Si creano nuovi ecosistemi. L’arretramento dei ghiacciai comporta anche la perdita della vita su di essi. Il suolo, le torbiere, i ghiacciai sono archivi di informazioni ambientali. Scavando si trova un suolo estremamente evoluto. Soprattutto il Monte Rosa a 80-100 metri di profondità permette di ricostruire la storia dell’umanità».

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